martedì 30 giugno 2009

Stiamo giocando a scacchi con la morte



Pedalo lentamente (anche se sono un po' in ritardo) e getto un'occhiata pigra alle civette dell'edicola: “Strage a Viareggio”, scritto in basso nella locandina del giornale locale, mi costringe a fermarmi. Feriti gravi, dispersi, morti; nella notte; un treno; un treno-merci; esplosione; un treno carico di gas; morti, feriti, dispersi; morti, feriti, dispersi. La mente, all’improvviso, comincia a entrare in funzione, facendo pulsare le tempie ed emergendo dallo stato di sonnolenza dovuto in parte all’essere andata tardi a dormire e in parte al caldo insopportabile. Le pedalate si fanno più ritmiche, nervose, rabbiose...
La mente decide come muoversi, ora, senza che riesca a controllarla: ripensa i recenti viaggi e la constatazione di un progressivo deterioramento della cornice ferroviaria all'interno della quale mi muovo da sempre; con piacere, un tempo; con disagio, delusione e talvolta disgusto o angoscia oggi. La mente si sposta in un continuo andirivieni di immagini e suoni, di ricordi e pensieri ansiosi: gli studenti, i miei laureandi; Viareggio è così vicino che tutti usano l'auto, ma non loro che magari non ce l'hanno nemmeno; ma era notte; ma forse abitano vicino alla stazione...
La mente funziona ormai solo a flash che si fanno sempre più rapidi. Assaporo di nuovo la sensazione recente di inaffidabilità delle ferrovie, gli odori, lo sporco e il degrado. Quello che verifico giorno dopo giorno, quello che deduco o intuisco è puntualmente confermato da quanto leggo (la manutenzione che non si fa quasi più, il risparmio sui materiali ecc.)...
Sono in ritardo e mi affretto; nella commissione della quale sono membro una delle studentesse è di Medicina e quando entro nella stanza sta già raccontando, la faccia incredula, il caos del pronto soccorso, l'impossibilità di dare un nome a qualcuno dei feriti gravi, l'angoscia impotente. La mente funziona ancora e solo per flash: Viareggio, i luoghi di certe passeggiate, la stazione, familiare anch'essa...
Gli incidenti capitano e questo non è certo il primo; ma è così vicino che è impossibile dominare l’angoscia: sono coinvolti luoghi che conosco bene e forse persone che conosco, con le quali interagisco.
Gli incidenti possono succedere; sento già, la immagino, la litania del "da che mondo è mondo"; sento sgranare i chicchi del rosario della rassegnazione deterministica, della consapevolezza saggia di un fato che, perennemente in agguato, non avrebbe niente a che vedere con le nostre scelte, con i nostri errori, con la nostra cecità.
La mente continua a muoversi da sola, senza inibizioni e senza regole; improvvisamente ricordo di aver provato uno sbigottimento simile, rabbioso e impotente, all’epoca di Chernobyl. Ero molto giovane, allora, ma il ricordo è vivido come se fosse ieri e la voglia di piangere si fa ormai quasi insopprimibile. La mente si muove ancora da sola e mi porta nei luoghi del dolore, del pianto inascoltato di chi non decide mai del proprio destino.
Per risparmiare tre lire. Per risparmiare tre lire.
Per-ri-spar-mi-a-re-tre–li-re!
La mente scandisce le sillabe, come se stessi parlando a voce alta, come se stessi cercando di convincere qualcuno, come se stessi urlando, in una sorta di patetico comizio: “Ma non vedete dove ci stanno portando, ma non capite che questa logica falsa e spietata ci distruggerà tutti quanti!".
Avverto una sensazione di grottesco. Come per la vicenda del finanziere Madoff e della sua frode per 171 miliardi di dollari, che mi appare, ora, tristemente metaforica: cosa può fare con una tale cifra un uomo solo! Quante vite gli occorrerebbero per godersi il suo gruzzolo!
La mente si muove da sola tra immagini sempre più rapide – “mi deve dare altri 37 centesimi” - è una persona abbiente quella che mi parlava così poco tempo fa e ho pensato che lo fosse (abbiente, appunto) proprio per questa sua attenzione meticolosa; ho pensato con disprezzo che è così che fanno soldi, quelli, stando attenti al centesimo e al sottocentesimo. Quelli: cioè i già ricchi, i già privilegiati dalla nascita, che, in fondo, hanno una vita sola da vivere, come chiunque altro.
Per risparmiare (mentre alcuni pochi ne traggono guadagno) stiamo giocando a scacchi con la morte...



lunedì 29 giugno 2009

Potenzialità della rete

Volevo scrivere una considerazione ispirata dal commento di Luca (al post televisivo di Bruno) sull’educazione nelle scuole all’uso di internet, e poi, come talvolta succede, è venuto fuori un nuovo post. Venendo al dunque, bisogna tenere conto che molti insegnanti, soprattutto quelli più anziani, non sanno ancora usare il computer, altri riescono a malapena a scrivere un testo con word. Gliene dobbiamo fare una colpa? Per rispondere forse è bene ricordare che in cambio di uno stipendio da magazziniere (spesso raggiunto stabilmente dopo anni e anni di snervante, sottopagato, demotivante e penoso precariato) si richiedono attitudini e competenze da psicologo, assistente sociale, burocrate, mediatore culturale, tutore dell’ordine, esperto della propria disciplina e quant’altro.
Per migliorare la situazione della scuola occorrono (è ovvio, ma non per tutti…) investimenti, non tagli. Nel caso specifico andrebbero organizzati dei corsi “seri” a vari livelli, con incentivi alla frequenza. Purtroppo in molte realtà mancano fondi per attivarli.

La Rete non offre soltanto la possibilità “di rivedere e ricomporre in autonomia le tessere sparse di notizie e altri avvenimenti”, si rivela anche un mezzo sorprendente e rivoluzionario per trasmettere informazioni, conoscenze (etc. etc.) su larga scala e a costo zero. La qualità dipende dall’ “emittente”, dalle sue capacità e dalle sue intenzioni. L’indice di gradimento e il numero dei fruitori non è sempre prevedibile. Spesso è un’incognita, che a volte risulta sconcertante. A questo proposito faccio seguire alcune parti di un articolo apparso su “Repubblica” del 27 giugno.


Fred Fliggehorn, 16 anni, è il nuovo re di YouTube
Vive in solitudine nel Nebraska, il suo canale web ha picchi da 45 milioni di persone. "Una tv da ragazzi fatta da un ragazzo"
di GABRIELE DI MATTEO

Il suo mito è Jim Carrey, la sua balia YouTube, il suo nome d'arte Fred, il suo piatto preferito si chiama "Tv Dinner", orrendo vassoio di cibo surgelato da sbattere nel microonde, vive in solitudine a Columbus, nell'agricolo Nebraska eppure l'audience del suo canale web
ha picchi di 45 milioni di persone, pari a quattro festival di Sanremo e i suoi video, in totale, sono stati visti 250 milioni di volte. Edita da solo un sorta di "tv dei ragazzi fatta da un ragazzo" e con le sponsorizzazioni ha superato i 100.000 dollari di reddito. Quest'anno gli organizzatori del Festival Internazionale della pubblicità di Cannes, rappresentato in Italia da Sipra/Rai, lo hanno invitato come esempio di un nuovo modo di comunicare con investimenti prossimi allo zero.
(…)
Il Los Angeles Time lo ha descritto come simbolo di una generazione "imperscrutabile" cresciuta sulle chat line, isolata dal mondo reale, tanto che Fred, il suo personaggio, tra le praterie del Nebraska e le mucche solitarie, vive in una realtà orrenda. La madre è alcolizzata e drogata, il padre giace nel braccio della morte di una prigione, Judi, la ragazzina che lui ama in segreto lo detesta e lo perseguita durante le lezioni e allora Fred esasperato, al limite di una crisi di nervi, accende la videocamera e si mette a raccontare la sua angoscia non priva di guizzi di ironia: una volta si tuffa nella piscinetta di plastica, un'altra si candida a presidente degli Stati Uniti.
(…)
Il suo milione di iscritti alla sua pagina di MySpaces sono manna per le aziende che vogliono raggiungere i nuovi teen agers, una generazione che passa più tempo sul web che in tv. Nella blogosfera Fred si è fatto anche dei nemici: Robert Scoble, uno studioso del web, lo definisce "il punto più basso dell'espressione in rete, che fa ridere per generare traffico". Ha girato e messo in rete il suo primo video all'età di sei anni ma definirlo il Mozart di Internet forse è esagerato, di sicuro, però, Fred è un modello di business che sta rivoluzionando le regole della comunicazione. (...)

sabato 27 giugno 2009

Berlusconi e le due Chiese


Qualche giorno fa il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Sciortino, ha pubblicato un commento a tante lettere indignate dei suoi elettori, scrivendo tra l'altro: "Sull’operato del presidente del Consiglio oggi fanno riflettere certi silenzi 'pesanti', anche all’interno della stessa maggioranza. La Chiesa, però, non può abdicare alla sua missione e ignorare l’emergenza morale nella vita pubblica del Paese".

E ancora: "Il problema dell’esempio personale è inscindibile per chiunque accetta una carica pubblica. In altre nazioni, se i politici vengono meno alle regole (anche minime) o hanno comportamenti discutibili, sono costretti alle dimissioni. Perché tanta diversità in Italia?"

Di tutt'altro tenore, su Radio Maria, il commento di padre Livio Fanzaga - che nelle sue rassegne stampa ha come punti di riferimento fondamentali "Il Giornale" e "Il Foglio" - dice che la Chiesa fa bene a non pronunciarsi su quello che si dice a proposito del Presidente del Consiglio perché, quanto ai comportamenti che gli vengono attribuiti, è evidente che "gatta ci cova". Inoltre, i cristiani possono certo dire cosa è bene e male, ma sono chiamati alla misericordia e al perdono.
Notavo che, dei due loghi riportati nell'immagine, uno è rosso e l'altro azzurro. Notavo che ci sono due atteggiamenti molto diversi. Del resto Padre Livio ha sparato a zero su Obama e sul PD riguardo al caso Englaro, vedendovi - come in molte altre cose, ma a quanto pare non nelle ultimissime vicende dell'inchiesta di Bari - lo "zampino di Satana".

... a mostrà le chiappe chiare...

Un omaggio a Gabriella Ferri e al mare.

Tutti ar mare


Il mare, o meglio, la vita balneare che tanto piace a noi italiani non nasconde segreti: emergono nei comportamenti ma anche nelle forme corporee pregi e difetti (fra questi ultimi: stereo a palla, racchettoni o calcio praticati in spazi non idonei, motori accesi troppo vicino alla riva; formazioni adipose, peli bianchi, sfumature di grigio, escrescenze cutanee…). Tutto si amplifica sotto al sole ad uno sguardo ravvicinato e, al contempo, tutto si confonde e diviene accettabile osservando complessivamente il movimento spiaggia. Si possono ritrovare in alcuni individui sfumature, dettagli che ci riconducono a persone con le quali, durante l’infanzia, l’adolescenza o un’altra fase della nostra vita, si è condiviso un rapporto di familiarità.
“Tutti ar mare” è lo slogan (reso popolare dalla Ferri) che ci accomuna in gran numero dalle Alpi a Lampedusa. E ci distingue dagli abitanti di altri paesi per i quali andare al mare è come una gita, una scampagnata, che si fa una volta tanto, non costantemente e ad oltranza come fanno molti di noi.
La spiaggia livella e allo stesso tempo esalta le nostre specificità nazionali. Ci si accalca nelle ore più calde perché i raggi incidono maggiormente sulla cute, che si esibisce più volentieri se assume una colorazione prossima al marrone scuro; dimostra che siamo sani, belli, agiati, invidiabili, trendy. Non importa se la pelle invecchia precocemente o se il paesaggio marino dà il meglio di sé in prossimità del tramonto.
Sembra essere un atteggiamento tipico dell’italica mentalità (naturalmente mi riferisco sempre alla maggioranza più o meno silenziosa) che si manifesta - mutatis mutandis - anche in altre dimensioni. Non importa se chi guida il paese allarghi la forbice tra ricchezza e povertà, che depauperi le strutture pubbliche, che mortifichi la cultura, o che ci renda ridicoli agli occhi increduli del mondo; conta invece l’illusione di sentirsi rassicurati da pericoli spesso solo percepiti, o che ci sia concesso, ad esempio, di avere campo libero nell’esercizio di ben radicati privilegi e intrallazzi o, magari, di ampliare l’aggressione agli ambienti naturali, che sembrerebbero esistere solo per essere asfaltati e cementificati dall’homo italicus. Il bello è che tanto malcostume per qualche straordinaria alchimia, sembra passare inosservato a chi si limita a guardare la dinamica nell’insieme e senza soffermarsi troppo sui dettagli, proprio come accade per i più innocui difetti da spiaggia.

mercoledì 24 giugno 2009

Clic


Da alcuni giorni la mia televisione resta accesa per pochi minuti. Il tempo di ascoltare i telegiornali e di fare il conto delle omissioni, delle mezze verità, delle frasi che restano incomprensibili ai più, perché accuratamente rese oscure, fumose, sibilline, in modo tale che non penetrino nella mente dell’ascoltatore, ma ne scivolino ai bordi senza lasciare alcuna traccia. Off. Stop. Silenzio. Respiro per la mente, ossigeno per il pensiero, se ancora ce n’è rimasto uno.

Dovrebbero farlo in molti.

I giovani rincoglioniti da Champions League, Confederations Cup, Calciomercato, Eurocalcio, Tuttocalcio, Solocalcio, Persempresportcalcio, Grande Fratello, Isola dei Famosi, Saranno Famosi, Amici, Quattroamicialbar, Picchia Tu Che Picchio Io.

I vecchi ancora lucidi, lasciati al loro tempo lento da trascorrere in compagnia della TV-badante, che consola, conforta, coccola, assopisce, canta la ninna-nanna. Dormi, dormi, tesoro mio, che alla realtà ci penso io.

Noi tutti, incamminati sulla via maestra della narcosi profonda, dovremmo farlo. Quel piccolo clic è l’azione più temuta dai detentori del potere mediatico e dai sapienti dispensatori di pubblicità a ciclo continuo. Lo schermo muto e cieco, infatti, non può più sedurci, né stordirci, né pacificarci con una realtà fittizia.

Non è poi così faticoso. Uno, due, tre. Clic.

martedì 23 giugno 2009

Sbandamento?


Solo il ventitré per cento degli Italiani ha votato per il referendum, che era considerato uno strumento istituzionale capace di garantire al cittadino la possibilità di contribuire all’agenda parlamentare, di avvicinarsi nientemeno che alla democrazia diretta. Un record storico, non si era mai caduti percentualmente così in basso. La scarsa partecipazione è stata determinata oltre che dalla ben nota disaffezione alla vita politica del paese, dal mancato accorpamento alle elezioni europee, anche da leader politici che continuano ad invitare alla diserzione delle urne, seguendo l’andazzo inaugurato da Bettino Craxi, che esortò i suoi elettori a recarsi al mare in occasione del referendum del 1991 sul sistema elettorale. Con questo metodo è dalla tornata referendaria del 1995 che non si riesce a raggiungere il quorum.
Mi chiedo se un leader politico (magari con responsabilità istituzionali) possa spingere un “cittadino” a rinunciare a quel diritto-dovere che (se esercitato con consapevolezza) lo differenzia dal “suddito”. La dialettica politica non dovrebbe orientare gli elettori verso una scelta? Continuare a rifiutare – sia dall’alto che dal basso - uno strumento di espressione popolare previsto dalla Costituzione, non vi pare un nuovo sbandamento della democrazia?

lunedì 8 giugno 2009

Italiani, brava gente!

"Les hommes sot faits, nous dit-on
Pour vivre en band' comm' les moutons
Moi, j'vis seul, et c'est pas demain
Que je suivrai leur droit chemin

Je suis d' la mauvaise herbe
Braves gens, braves gens..."

Georges Brassens, La mauvaise herbe




"Gli uomini, ci dicono, sono fatti
Per stare in branco come pecore,
Io, vivo solo, e domani no
La loro buona strada non seguirò

Sono l'erba cattiva
Brava gente, brava gente..."