Ma questa nazione che chiamiamo Italia siamo ancora noi? Questa Costituzione calpestata e derisa è ancora la nostra? Cosa siamo diventati, noi tutti, se di buon grado, muti e a capo chino per la paura di perdere una stabilità, un benessere, un lavoro che già non esistono più, accettiamo che prosegua la caduta precipitosa delle libertà di espressione e di informazione?
Ieri, mi sembra di ricordare, libertà era la parola che si usava contrapporre a tirannia, prevaricazione, repressione, silenzio, ignoranza, servilismo, egoismo, privilegio. Ieri, soltanto ieri.
Oggi, una nuova libertà, bandiera del potere grande e piccolo, viene agitata ai quattro venti: la libertà significa costruire quanto voglio e dove voglio, non pagare le tasse, non vedere facce di stranieri in giro.
La libertà è spendere quanto più posso per vestirmi e comportarmi come i modelli che ho appena visto in televisione. La libertà è quella di farmi raccomandare dal potente di turno, anche se non ho alcuna capacità, anche se non lo merito.
La libertà, infine, è quella di stare meglio degli altri, infischiandomene degli altri, anzi, calpestandoli se necessario.
Noi, noi italiani, non abbiamo saputo preservare la causa della libertà, forse perché non ne abbiamo capito fino in fondo il significato. Quel significato che in molti ci avevano suggerito. Come Giorgio Gaber che, profeticamente, con la sua voce calda e ironica, cantava: “la libertà è partecipazione”. Non l’abbiamo ascoltato.
Ma ora, resteremo ancora in silenzio?
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