Ho assistito oggi alla presentazione del libro di Claudio Fracassi “Il romanzo dei Mille”, che tratta dello sbarco dei garibaldini a Marsala e delle mirabolanti vittorie in terra di Sicilia. Pur essendo un libro di storia, basato essenzialmente sulle memorie e sui diari dei giovani partiti con Garibaldi (moltissimi dei quali provenivano dalla Padania), ha un titolo che, forse involontariamente, rinvia a ricostruzioni favolistiche, agiografiche, apologetiche che hanno circondato il processo che ha portato all’unità del nostro paese. Una fra tante: mettere insieme le icone (o i santini) di Giuseppe Mazzini e Vittorio Emanuele II è stato un prodigio che l’efficientissima propaganda fascista è riuscita a fare con successo. Si pensi che in realtà Mazzini è morto a Pisa, ospite di Janet Nathan e Pellegrino Rosselli presso i quali viveva con il nome di Giorgio Brown , perché ricercato dalla polizia sabauda come un pericoloso terrorista. Verosimilmente la causa di tanti misteri o interpretazioni di comodo è tutta racchiusa nel nodo nevralgico che da sempre è stato il Risorgimento, soprattutto nei suoi capitoli salienti e straordinari, come quello di cui si occupa il saggio di Fracassi. Tale fenomeno per la sua natura di atto fondativo dello Stato si presta ad essere strumentalizzato dalle forze politiche, e la cultura, in questo caso, dà l’impressione di non essere abbastanza autonoma o coraggiosa (per usare un termine caro ai Mille) per presentare un quadro obiettivo e possibilmente “unitario” ed esaustivo.
Oggi la sinistra, dopo molti anni in cui quasi si irrideva la retorica risorgimentale, torna a rivalutare i padri della patria, e Garibaldi torna ad essere un incredibile, fenomenale eroe. Su altri fronti: leghista al nord e “neoborbonico” al sud, l’eroe dei due mondi viene invece presentato pressoché come un bandito che ha seminato morte e distruzione. Va puntualizzato che mentre i primi sono forza di governo e dovrebbero pertanto misurare le parole, specie in riferimento alla storia patria, i secondi rappresentano una debole voce, che forse al di fuori del meridione, arriva soltanto a chi, casualmente o per scrupolo storico, è interessato a conoscerla. Se il quadro fosse completo, probabilmente non resterebbe che unirsi al coro della sinistra ed applaudire alle ardimentose gesta degli eroi del Risorgimento. Invece vanno considerati anche altri studiosi, come ad esempio Gigi Di Fiore, giornalista e storico, che fra le varie pubblicazioni sull’argomento in questione, ha scritto “I vinti del Risorgimento”, un saggio (peraltro edito dalla prestigiosa UTET di Torino) che ci presenta una realtà storica meno gloriosa e assai più problematica.
Ora, dopo un secolo e mezzo dall’impresa dei Mille auspicherei un impegno verso una maggiore chiarezza su un tema così importante per gli Italiani. Probabilmente anche il libro di Claudio Fracassi (che confesso di non avere ancora letto) rappresenta un contributo in questa direzione, spero in ogni caso che - per una più ricca e oggettiva ricostruzione storica - accanto alle testimonianze dei garibaldini si possano ascoltare le parole dei soldati borbonici o quelle della sarta di Calatafimi, del pescatore catanese, del falegname di Messina...
sabato 5 giugno 2010
Le verità del Risorgimento
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1 commento:
La Domus mazziniana sembra sia nell'elenco degli enti e istituti che vogliono chiudere!!!!!!!! Concordo con te, Enrico. Mi viene in mente il bellissimo film di Florestano Vancini degli anni 70,"Bronte cronaca di un massacro". Tuttavia...proprio due giorni fa, al termine di una cena, mi è capitato di brindare con amara ironia all'unità d'Italia; ora che la vetusta idea federalista, grottesca per i tempi attuali, rischia di costituire l'unica risposta a bisogni magari anche reali...ma una risposta minoritaria e perdente, destinata a incrementare la deriva dell'egoismo sociale. E mi è capitato anche di aver voglia di rileggere, il giorno dopo, la poesia che da bambina coronava la cornice retorica con la quale ci insegnavano l'epoca risorgimentale, La spigolatrice di Sapri, e di commuovermi:
"(...) Eran trecento, e non voller fuggire;
Parean tremila e vollero morire:
Ma vollero morir col ferro in mano,
E innanzi ad essi correa sangue il piano.
Finchè pugnar vid’io, per lor pregai;
Ma un tratto venni men, né più guardai...
Io non vedeva più fra mezzo a loro
Quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro!...
Eran trecento: eran giovani e forti:
E son morti!"
il vuoto di ideali e l'incapacità di identificarsi nei propri simili che caratterizza il nostro oggi mi sgomenta ogni giorno di più. Ma ci vorrebbe un nuovo risprgimento, e lo dico senza timore di essere retorica...
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