giovedì 21 aprile 2011

Habemus papam

Senza scivolare nella retorica dell’apocalisse, l’ultimo racconto filmico di Nanni Moretti sembra volerci comunicare la fine di un’età, una svolta epocale che ci sospinge nel baratro che i nostri occhi rifiutano di vedere.
La vicenda è attraversata da un’insanabile perdita di senso, dall’ impossibilità di risollevarsi e di rianimare usi, credenze, istituzione che sono giunte al capolinea.
L’incarico di riportare le cose entro il loro presunto alveo naturale viene affidato ad un accreditato psicanalista, che piuttosto prevedibilmente dopo poche scene dimostrerà di essere disturbato almeno quanto chi dovrebbe essere da lui risanato.
La tradizione è slegata dalla realtà di oggi e le reazioni degli eminenti depositari del passato nonché eredi dell’autorità spirituale e temporale, reagiscono con una regressione all’infanzia. Per chi non può o non vuole guardare dentro e fuori di sé con occhi disincantati, l’unica via d’uscita per non impazzire sembra essere la fuga dalla propria maschera. Riassaporare gesti semplici come una passeggiata solitaria per le vie cittadine, o ripercorrere il passato incontrando le proprie origini e il rimpianto soffocato da strati di tempo e di oblio per desideri non realizzati, per antichi sogni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Il neopontefice è un anziano infante soffocato nel suo dissonante vagito di angoscia, che non vuole vedere la luce. E il popolo di fedeli, suore, frati, porporati da ogni angolo del pianeta, siamo noi tutti, che continuiamo ad avere bisogno di una guida che ci rassicuri, ci garantisca che tutto va bene, che tutto è come sempre, che non ci obblighi a guardare i cambiamenti nella loro crudezza e destabilizzante complessità. Ma prima o poi anche chi ha per tradizione il compito di rassicurare, se il suo ruolo non è più autentico in rapporto ai mutamenti, è destinato ad essere spazzato via dagli eventi esterni o da irrimediabili crisi dell’anima.

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