giovedì 30 ottobre 2008

Rivoluzioni e catastrofi

È uscito da poco il Living Planet Report 2008 (scaricabile dal sito www.panda.org).
È l’ennesimo documento sui temi ambientali che, da indagine, diventa appello e avviso di imminenti catastrofi.
Una volta si parlava di “rivoluzione”: Marx ritenne che il modo di produzione capitalistico sarebbe fallito per una collisione tra capitale e lavoro e, quindi, per una rivoluzione guidata dall’intenzione degli uomini: la sua profezia di emancipazione era legata a una filosofia della storia e, in quei termini, è ormai sfumata.
Però, mi capita di pensare sempre più spesso che forse il grande cambiamento, il collasso del modo di produzione esistente, arriverà dalle catastrofi tanto annunciate… le rivoluzioni forse seguiranno, e altre terribili guerre (le guerre dell’acqua…)… O “siamo ancora in tempo” a cambiare? Cambiare cosa? Quanta fiducia si può riporre nelle intenzioni, nelle (buone) intenzioni, nel fatto che gli uomini possano immaginare e agire insieme? Ma, mi chiedo, perché sul piano individuale e su quello sociale si deve rasentare la catastrofe per vedere le cose o per agire in modo radicalmente diverso? O questa mia impressione è sbagliata?

mercoledì 29 ottobre 2008

Musica, calcio e tagli alla spesa pubblica



25 ottobre, Cagliari. La stagione concertistica del teatro lirico si inaugura offrendo la rara rappresentazione, sia pure in forma di concerto, de “Il castello del duca Barbablù” di Béla Bartok. Un’opera che non è un’opera nel senso tradizionale del termine; e lo dico amando le opere (nel senso tradizionale del termine). Non ha quasi trama, infatti, se non quella, esilissima, di un dialogo a due che si apre, in un’unica scena al volgere verso il finale, a fantasmi di figure che non sai se siano vive o morte, reali della crudezza della carne o reali dell’impalpabilità del sogno e dell’immaginazione. E’ una tessitura inafferrabile di contrappassi coloristici; nella cupezza di un’atmosfera statica, dell’eterno presente che contraddistingue la temporalità psichica.
Simbolica in ogni sua scena (e rossa di sangue o bianca e gelida di neve) all’interno di una cornice che è silenzio e tensione o immenso frastuono di fanfare, cupo pauroso annuncio di violenza e distruzione.
Mi guardo intorno, prima dell’inizio, mentre gli strumenti accordano ognuno nella propria solitudine il suono; e poi di nuovo, al momento dell’applauso. Una città diversa e dunque sono curiosa di osservare i volti e l’espressione degli spettatori, di vedere se sono tanti o pochi, se hanno apprezzato o meno; tanto più in questo caso poiché si tratta di un lavoro complesso e non troppo valorizzato – dunque poco noto – e perciò poco proposto al pubblico. In circostanze come questa e quando a teatro lo spettacolo mi è piaciuto, penso subito che è un peccato che siamo in pochi a goderne (e che non si faccia alcuna politica culturale seria né formativa rivolta a tutti, indipendentemente dall’età o dal censo) proprio qui, nel paese dell’arte, del teatro e della musica.
Stasera penso, invece, che forse nemmeno questi pochi – e dunque nemmeno io – in un futuro abbastanza prossimo, potremo continuare a goderne; penso ai tagli impietosi rispetto allo spettacolo di qualità e per contrappeso a quell’immane fabbrica di denaro che è il calcio; alle partite che non sai mai se siano truccate (e una come me, diventata intollerante al proposito, lo pensa ormai sempre, anche senza prove e dunque sbagliando); e penso, ancora, al calciatore che può guadagnare cifre astronomiche (un calciatore del calibro di Totti, ad esempio, può prendere anche 5 milioni di Euro l'anno) e a come si potrebbero investire quelle stesse cifre, sempre nell'ambito dello spettacolo, restituendo almeno un po’ al mondo ciò che il mondo ha reso possibile ad alcuni – musicisti, artisti, scrittori e poeti – creare.
Una partita di calcio riempie la testa di pensieri e sentimenti a molti: c’è l’attesa, l’identificazione con la squadra (la “mia” squadra), il durante e il dopo. Impossibile lasciare spazio ad altre riflessioni. Gioia e dolore, attesa o rabbia ne scaturiscono e distolgono da tutto il resto.
Una musica, invece, o una rappresentazione teatrale, ti permettono un viaggio dentro, all’interno, e fuori; e dunque ti arricchiscono e fortificano; ti fanno vivere tutte le possibili fragilità, ma nello stesso tempo, avendotele fatte attraversare, ti rendono capace di una comprensione più alta. Un lusso raro, che, temo, sarà sempre più difficile concederci.

Parola d'onore


Grazie a tutti per i commenti. Aggiungo soltanto che poiché l’esempio viene dall’alto, da un ipervincente, forse molti si sentono e si sentiranno incoraggiati a dire e smentire bellamente, come se fosse la cosa più normale. Forse alcuni (penso ai più giovani) lo faranno addirittura inconsapevolmente, senza malizia. Se l’atavico valore della “parola”, della stretta di mano che aveva il peso di un contratto indelebile, decade vertiginosamente o non esiste già più come valore condiviso, le relazioni tra persone, organismi, nazioni, saranno migliori? Chi se ne gioverà?...
Dopo gli ultimi sondaggi che vedono in forte calo i consensi al governo, senza che l’opposizione abbia fatto dei passi avanti, qualcuno ha detto che la pancia dell’Italia ribolle di rabbia. Probabilmente, in questo fluido marasma, la rabbia è anche generata da un vuoto di punti di riferimento certi, da una decisa difficoltà ad affidarsi. Il bisogno inestinguibile di fiducia, in un tempo di forti cambiamenti esterni, globali, può essere alimentato (forse soltanto) dall’onestà e dalla coerenza negli uomini, siano singoli o raggruppati in ogni sorta di associazione.

venerdì 24 ottobre 2008

Le parole sono importanti?

Ieri il premier ha affermato che avrebbe fatto intervenire la polizia per stroncare le occupazioni degli studenti, che protestano contro la ormai famigerata legge 133. Affermazione che in un momento così complesso non contribuisce a rasserenare gli animi, e infatti non ha trovato accoglienza favorevole neppure all'interno della sua coalizione.
Ma non sono tanto le sue parole di ieri ad essere sconcertanti. Oggi a Pechino smentisce (forse per non essere assimilato al totalitarismo cinese): "Polizia negli atenei? Mai detto. Sono i giornali che, come al solito, travisano la realtà". Delle due l’una: colui che ci governa soffre di una severa amnesia, oppure è convinto, a ragione, che la maggioranza degli Italiani si lascia manipolare in modo così assurdo. Se fosse vera la seconda ipotesi, avrebbe senso parlare di democrazia nel senso tradizionale del termine?...

lunedì 20 ottobre 2008

I gatti che guardano le stelle.




Le piazze di questa piccola città di nuovo gremite di giovani e meno giovani; il comune disagio legato a un’epoca, triste, di esaltazione dei tecnicismi, dell’efficienza, della rapidità, del consumo di cose e allo stesso modo di affetti. Non ancora ben definito, quest’insieme di persone che esprimono la propria inquietudine si muove tra vecchio e nuovo; alla ricerca di un volto diverso, ma attraversando la tentazione dei facili slogans, delle espressioni trite e abituali tese a demarcare confini.
Occorre anche imparare a guardare e ad ascoltare perché ciò che sta nascendo trovi una propria, speciale e autonoma collocazione. Questo è ciò che dovremmo saper fare noi che abbiamo vissuto altre proteste, nelle stesse piazze, in anni diversi. Guardare, ascoltare, portare una specificità di parole, ma senza sovrapporre la propria visione, sia pure carica di esperienza e memoria, a quella di chi, più giovane, tenta di tracciare un proprio percorso di autonomia.
Ho sempre invidiato i gatti che guardano le stelle.

lunedì 13 ottobre 2008

Eppur si muove


I due decreti-legge 137/08 (Gelmini)e 133/08 (Brunetta) sono stati accuratamente preceduti e poi accompagnati da una campagna di demonizzazione dei lavoratori nel settore pubblico, marchiati tutti come 'fannulloni'. Tra questi, gli insegnanti, 'pagati troppo', 'incompetenti' e 'assenteisti', e i docenti universitari, 'che lavorano solo tre ore a settimana'.
La mossa era necessaria per poter giustificare una quantità di tagli della spesa pubblica senza precedenti, almeno quanto a rapidità. Non essendo, infatti, sufficiente ammantare la riforma di principi psudopedagogici, teorizzando il ritorno ai voti, al grembiule e al maestro unico, ci si è assicurati l'indignazione popolare.
Il gioco sembrava riuscito, al punto che molti dipendenti pubblici hanno iniziato a sentirsi in colpa di non essere precari. Al punto che molti insegnanti hanno iniziato a pensare che la scuola funzioni davvero meglio tagliando personale e risorse. Al punto che molti studenti hanno rinunciato alla protesta, perché si tratta di una perdita di tempo: meglio chinare il capo sui libri e infischiarsene di quanto succede intorno.
Eppure qualcosa, nonostante tutto, si sta muovendo, sebbene nel più completo silenzio di stampa e televisione. In tutta Italia si stanno mobilitando insegnanti e studenti di ogni ordine di scuola. Alcune università, tra cui Pisa, Firenze e Milano, sono state occupate.
I conduttori non lo dicono. La stampa sonnecchia.
Eppur si muove.

domenica 12 ottobre 2008

Scrivere in rete

Se per “rete” intendiamo la multidiramazione simultanea dei messaggi che rompe i limiti spazio-temporali vedo bene le opportunità; i rischi sono legati, invece, al fatto che in rete si scrive in un certo senso proprio “senza rete” (intesa in riferimento al mondo dei trapezisti). Perché non ci si conosce e dunque si possono facilmente proiettare sull’altro, di cui magari ignoriamo persino il volto, attese e paure che appartengono a noi. E l’altro, naturalmente, ci ricambia con la stessa moneta.
E’ buffo, non sono una pessimista, anzi; e non lo è neanche Bruno che conosco indipendentemente dal blog. Direi che siamo accomunati dal difetto opposto. Tuttavia ciò che scrive Carlo mi ha spinto a leggere con occhi diversi gli interventi di tutti e la coloritura emozionale del blog nel suo insieme; ha ragione, ci può essere una ricezione diversa dalle nostre (in questo “nostre” includo anche Enrico) intenzioni comunicative. Forse abbiamo usato il blog, senza volerlo né saperlo, per dare sfogo alle nostre parti più disperate e permettere alle altre, a quelle di segno opposto, di continuare a esprimersi altrove. L’intervento di Bruno sulla meritocrazia, per esempio, è scritto da una persona che si batte da sempre e in tutti i modi nei quali gli è possibile perché le cose vadano diversamente rispetto ai terreni clientelari e nepotistici che (specialmente nel nostro paese) hanno una significativa tradizione e diffusione; una persona che,dunque, crede possibile anche che si possa incrinare il destino. Tuttavia, io intendo bene lo scritto anche perché conosco la persona.
Come rimediare allora?
Cercando di ponderare le parole quando si scrive, certo; ma questo cozza quasi sempre con la necessità di essere brevi, che non rinnego, e che tuttavia, proprio in questo momento, sto forse già infrangendo. Occorre, dunque, un preciso impegno riflessivo, almeno da parte di chi concorre come autore, alla lettura attenta dell’altro e soprattutto al non avere remore né nel chiedere chiarimenti, né, tanto meno, nel criticare. E infine bisognerebbe non prendere troppo male le critiche, viverle come una specie di stimolo e elaborare l'innegabile frustrazione di non sentirsi capiti o spalleggiati. Non dobbiamo mica essere cloni l’uno dell’altro!
Dico la verità, il nome del blog, forse, potremmo cambiarlo. “Schegge” suona, indipendentemente dalle intenzioni, un po’ aggressivo; fa pensare a forzature e a ferite; “postume”, poi, è forse ciò che, sempre indipendentemente dalle intenzioni, alimenta il senso del non più sperare... Meglio qualcosa di vivo, legato al qui e ora.
Forse il nome stesso dovrebbe veicolare un messaggio in positivo, riferito a un’attesa, a una speranza e anche alla possibilità di dialogare pur mantenendo, ciascuno di noi, il diritto alla propria diversità.
Proporrei una sorta di consultazione interna, fatta per e-mail, sul nome del blog, se non ci siete troppo affezionati. Naturalmente lasciando inalterato ciò che finora abbiamo scritto.

Meta-blog

Riflessioni sul blog tratte da uno scambio di mail con Carlo

[CARLO]
secondo me il blog così com'è frustra ogni buona intenzione: c'è un pessimismo apocalittico che veramente respinge il passante casuale. Non vi chiedo di cambiare direzione, ma sono convinto che non se ne possa più di questa tristezza (già la vita ha i suoi problemi).Stavo per rispondere a Bruno quando diceva che in Italia non c'è mai stata meritocrazia. Mah, non so... io penso che sia un problema, se c'è, di questi ultimi anni. Il fascismo, che era quel che era, faceva insegnare (purché non si occupassero di politica) gente come Caccioppoli, Fermi, Maiorana, almeno fino al '38, cioè fino alle leggi razziali (il povero Maiorana sparì proprio allora) ed anche nel dopoguerra la nostra università era tra le migliori del mondo, pur nella ristrettezza di mezzi (Natta, che poi vinse il Nobel, non aveva neanche una pressa sufficientemente potente in istituto).E', e mi duole dirlo, la generazione dei nostri padri che in qualche caso (non generalizzo per carità) si è "seduta" e ci ha detto che anche da "seduti" qualcuno si sarebbe accorto di quanto valevamo. Tanti di noi hanno capito che è una balla, per far qualcosa ci vuole lavoro, e si sono regolati di conseguenza. Altri si attardano nel vittimismo (…), e nel frattempo abbiamo uno tra i peggiori governi possibili, ma ce l'abbiamo forse per la pochezza nell'esprimere le nostre idee, per la nostra rassegnazione. Scusa lo sfogo, ma mi correva l'obbligo di parlartene per amicizia.

[ENRICO]
(…) può darsi che tu abbia ragione... cerco di entrare nel tuo punto di vista, anche se non è un'operazione semplice.
Di sicuro c'è un comune denominatore, e volendo si potrebbe ripartire da qui:
abbiamo uno tra i peggiori governi possibili.
Penso che avresti fatto bene a rispondere al post di Bruno; in fondo il blog potrebbe essere una sorta di piccolissimo parlamento dove si possono serenamente esprimere idee contrastanti, purché entro i limiti dell' "arco costituzionale", ovvero del rispetto reciproco.


[CARLO]
(...) il blog può avere due funzioni principali:

1. Diffondere delle idee

2. Stimolare un dibattito

Per essere schematici, se c'è troppo dell' 1, cioè ci sono troppeidee o magari troppo "difficili" da metabolizzare (perché per esempio molto pessimiste o semplicemente molto"indiscutibili") è difficile creare un dibattito, perché, francamente, non si sa cosa rispondere. Se però c'è troppo dibattito, finiscono per mancare le idee di fondo, ognuno difende ciecamente il proprio punto di vista, ma alla fine non si sa più di cosa si stava parlando all'inizio. Ci vuole un equilibrio tra le due componenti, non facile da raggiungere. (…)


[ENRICO]
Sono d'accordo sull'analisi relativa alle funzioni che può avere un blog. Aggiungerei che dovrebbe anche essere un'attività piacevole, oltre che utile, visto che la si fa anche per diletto, senza scopi di lucro. Ma a quanto pare è più difficile del previsto armonizzare persone che si conoscono soltanto tramite qualche scritto telematico, nonostante siano tutte dotate di cultura e intelligenza quanto meno al di sopra della media. Penso che (ma forse l'ho già detto) la comunicazione via internet sia soggetta spesso a fraintendimenti e che a volte si finisca per attribuire agli interlocutori pregi o demeriti non sempre del tutto aderenti alla realtà. E' un fatto fisiologico.
Riguardo alle responsabilità che hanno portato al governo questa bella squadra, temo che al momento la più potente fonte educativa per i giovani sia la televisione... Famiglia e scuola pubblica non se la passano tanto bene. Quest'ultima è debolissima e spende le sue povere energie per mantenersi in vita, dissanguata com'è da pesanti tagli e da massicci cortocircuiti burocratici (non è vittimismo purtroppo...).
Non per questo dobbiamo arrenderci...
(...)
il pessimismo nel blog forse nasce anche dal fatto che lo abbiano considerato come uno "sfogatoio", dove inserire indignazione e sgomento che nascono da avvenimenti o situazioni che ci sembrano intollerabili, pericolose, ingiuste. Pensavo che il blog avesse anche la funzione di uno spazio dove esprimere riflessioni e sentimenti (purtroppo negativi) che altrimenti resterebbero inespressi. Naturalmente questo aspetto non impedisce che si possa parlare di altro, cioè di cose allegre o di qualsiasi situazione che possa accendere qualche speranza e alimentare (un moderato?) ottimismo.

[CARLO]
(…) infatti, è bene esprimersi, e lo sfogatoio va anche bene. Quel che manca a volte è la comunicazione, posso parlare come davanti allo specchio, e tante cose della mia esperienza posso darle per scontate, perché l'immagine riflessa nello specchio le conosce, poi però è difficile che chi si affaccia per caso voglia partecipare, semplicemente perché il mio stato d'animo non è stato comunicato sufficientemente. Ecco, il tuo ultimo post, che apprezzo, è un tentativo di comunicazione, perché la poesia, nel bene o nel male, esprime di più, è, al di là delle apparenze, più immediata (credo che se tu dovessi per assurdo tradurre in prosa i tuoi marci orologi in marcia, cercando di spiegare le implicazioni di ogni parola, ci vorrebbero tre o quattro pagine, e sarebbe probabilmente un esercizio sterile, perché il messaggio resterebbe perso nella prosa esplicativa).
Da queste parole ti rendi conto che penso che la comunicazione via Internet sia problematica, specie se si basa solo sullo scritto, senza aiuti, come gli emoticons, che ti fanno rendere conto (anche se in modo schematico) di quali siano i veri sentimenti dello scrivente. Io tendo ad essere, di persona, abbastanza ironico, ma questo su Internet porta, non conoscendosi di persona, a conseguenze alle volte indesiderate. Quindi mi astengo e specifico mille volte se scherzo, sono serio, ecc. Tuttavia, non bisogna demordere, il livello intellettuale di Schegge postume è alto, nondimeno molto su Internet preme per una comunicazione veloce e un po' superficiale: così è presumibile che non ci saranno folle di interventi, ma non credo sia un problema. Forse basta che ognuno esprima la propria idea, nel rispetto reciproco e con un occasionale scambio di opinioni.

giovedì 9 ottobre 2008

Marci orologi in marcia













Otto minuti spuri
trottano nella rotta rottamata…

Si rideva, compatrioti
quasi alleggeriti
da gravità sataniche
quasi assuefatti, lobotomizzati
all’imperante ipocrisia dei tempi.

A Roma Romeno ubriaco
trancia le gambe a nonna marcescente…
Solerte truppa acciuffa
tre vucumprà in baruffa…
Camerunense ruba
tiramisù e babbà
stroncato a botte pettiraccampà…

Era l’eco gigione d’un tiggì
un fuggi fuggi a tranci di notizie:

…Nella cadenza guercia
marci orologi in marcia...


Enrico Meloni (settembre 2008)

martedì 7 ottobre 2008

Una piccola valanga...


…ha scosso alla fine di settembre le pacifiche valli dell'Alto Adige.

I fatti. Intorno alla metà dello scorso settembre la Società Latemar Carezza S.r.l. è ormai pronta ad avviare i lavori per la realizzazione del progetto di un nuovo impianto sciistico alle pendici del monte Catinaccio (Latemar). Per fare posto all’impianto dovrà essere aperto uno squarcio colossale nel cuore di uno dei più bei paesaggi delle Dolomiti, invadendo un’area già destinata a essere inclusa nel Patrimonio naturale mondiale UNESCO. L’impianto, inoltre, dovrà essere dotato di 170 cannoni da neve, a loro volta alimentati da un bacino artificiale di 100.000 metri cubi, che verrà scavato nelle vicinanze.
Il progetto risulta in aperta violazione delle norme in vigore nella provincia di Bolzano, che vietano la realizzazione di nuovi impianti sciistici, ma la Società Latemar tenta di aggirare la normativa affermando che il progetto costituisce solo un “allargamento” di un impianto esistente.

La valanga. Il 23 settembre viene indetta una petizione on-line (sul sito http://www.firmiamo.it/procatinaccio) per protestare contro il progetto. Appena una settimana dopo, il 30 settembre, nel corso di una movimentata seduta del Consiglio Provinciale di Bolzano, il gruppo dei Verdi presenta una mozione contraria all’avvio dei lavori per la nuova pista.
Nonostante l’opposizione in aula da parte di alcuni consiglieri, che ne chiedono l’inammissibilità, la mozione viene infine votata e, a sorpresa, passa con 23 voti a favore e 2 contrari (più due astenuti). Il Consiglio approva così la risoluzione finale che impegna la Giunta provinciale a non autorizzare la realizzazione del nuovo impianto.

Una piccola grande valanga, dunque, purtroppo rimasta in sordina e di fatto priva di eco sui quotidiani nazionali. Eppure, per una volta, il denaro, il potere, l’arroganza, non sono riusciti a vincere. Al loro posto hanno vinto la natura, l’umanità e, forse, anche il buon senso.