giovedì 30 ottobre 2008

Rivoluzioni e catastrofi

È uscito da poco il Living Planet Report 2008 (scaricabile dal sito www.panda.org).
È l’ennesimo documento sui temi ambientali che, da indagine, diventa appello e avviso di imminenti catastrofi.
Una volta si parlava di “rivoluzione”: Marx ritenne che il modo di produzione capitalistico sarebbe fallito per una collisione tra capitale e lavoro e, quindi, per una rivoluzione guidata dall’intenzione degli uomini: la sua profezia di emancipazione era legata a una filosofia della storia e, in quei termini, è ormai sfumata.
Però, mi capita di pensare sempre più spesso che forse il grande cambiamento, il collasso del modo di produzione esistente, arriverà dalle catastrofi tanto annunciate… le rivoluzioni forse seguiranno, e altre terribili guerre (le guerre dell’acqua…)… O “siamo ancora in tempo” a cambiare? Cambiare cosa? Quanta fiducia si può riporre nelle intenzioni, nelle (buone) intenzioni, nel fatto che gli uomini possano immaginare e agire insieme? Ma, mi chiedo, perché sul piano individuale e su quello sociale si deve rasentare la catastrofe per vedere le cose o per agire in modo radicalmente diverso? O questa mia impressione è sbagliata?

3 commenti:

enrico meloni ha detto...

Si aspetta la tragedia forse anche perché gli esseri umani sono abituati ad ignorare le innumerevoli insidie non imminenti, che li minacciano dalla notte dei tempi, sia per dedicare le energie a problemi più urgenti che per godersi il presente. Certo, dipende anche dalla visione del mondo: se ad esempio fosse più diffusa la mentalità degli Scandinavi, può darsi che si riuscirebbe a prevenire meglio.

maria antonella galanti ha detto...

Non si ragiona più se non in termini individuali, legati al proprio circoscritto spazio-tempo. "Tanto io non ci sarò più quando...". Oppure: "Tanto avviene altrove...". Rispetto all'ambiente, come alla guerra, ciò che ci ha pervaso come un lento subdolo veleno è l'incapacità di ragionare e sentire anche per il bene di altri; insomma, tanti non sono più capaci di gratuità, di solidarietà disinteressata, di generosità, neanche verso le generazioni future. La povertà, il bambino che muore di fame o di guerra, la ragazza lapidata a 23 anni per un sospetto di adulterio, sono tragedie imminenti, anzi, attuali...; ma non ci mettono in gioco direttamente. Dunque, forse e purtroppo, non è l'imminenza a muovere le persone, ma l'idea di poter essere coinvolte direttamente in un'esperienza catastrofica.
Scrivo in fretta, sono in ritardo:spero che da questo dipenda la mancanza di sfumature del mio commento; insomma, spero di sbagliarmi e di avere espresso solo una paura!

enrico meloni ha detto...

Sono d'accordo. Scrivendo "insidie imminenti", avevo in mente l'uomo primitivo che sente incombere la minaccia delle fiere e accende un fuoco o sbarra l'ingresso della caverna con un masso, oppure la famiglia monoreddito che sta per essere sfrattata e si attiva per trovare un nuovo alloggio. In entrambi i casi nessuno si preoccuperebbe troppo se, altrove, qualcuno condividesse la medesima sorte. Forse la "compassione", la sensibilità verso il dolore altrui, varia nello spazio e nel tempo. Riguardo a quest'ultimo si potrebbe parlare di ciclicità: ad es. dopo la seconda guerra mondiale (appunto dopo la grande catastrofe)erano più presenti valori di solidarietà (vedi anche la costituzione italiana), che oggi vengono bellamente snobbati da molti.