mercoledì 29 ottobre 2008

Musica, calcio e tagli alla spesa pubblica



25 ottobre, Cagliari. La stagione concertistica del teatro lirico si inaugura offrendo la rara rappresentazione, sia pure in forma di concerto, de “Il castello del duca Barbablù” di Béla Bartok. Un’opera che non è un’opera nel senso tradizionale del termine; e lo dico amando le opere (nel senso tradizionale del termine). Non ha quasi trama, infatti, se non quella, esilissima, di un dialogo a due che si apre, in un’unica scena al volgere verso il finale, a fantasmi di figure che non sai se siano vive o morte, reali della crudezza della carne o reali dell’impalpabilità del sogno e dell’immaginazione. E’ una tessitura inafferrabile di contrappassi coloristici; nella cupezza di un’atmosfera statica, dell’eterno presente che contraddistingue la temporalità psichica.
Simbolica in ogni sua scena (e rossa di sangue o bianca e gelida di neve) all’interno di una cornice che è silenzio e tensione o immenso frastuono di fanfare, cupo pauroso annuncio di violenza e distruzione.
Mi guardo intorno, prima dell’inizio, mentre gli strumenti accordano ognuno nella propria solitudine il suono; e poi di nuovo, al momento dell’applauso. Una città diversa e dunque sono curiosa di osservare i volti e l’espressione degli spettatori, di vedere se sono tanti o pochi, se hanno apprezzato o meno; tanto più in questo caso poiché si tratta di un lavoro complesso e non troppo valorizzato – dunque poco noto – e perciò poco proposto al pubblico. In circostanze come questa e quando a teatro lo spettacolo mi è piaciuto, penso subito che è un peccato che siamo in pochi a goderne (e che non si faccia alcuna politica culturale seria né formativa rivolta a tutti, indipendentemente dall’età o dal censo) proprio qui, nel paese dell’arte, del teatro e della musica.
Stasera penso, invece, che forse nemmeno questi pochi – e dunque nemmeno io – in un futuro abbastanza prossimo, potremo continuare a goderne; penso ai tagli impietosi rispetto allo spettacolo di qualità e per contrappeso a quell’immane fabbrica di denaro che è il calcio; alle partite che non sai mai se siano truccate (e una come me, diventata intollerante al proposito, lo pensa ormai sempre, anche senza prove e dunque sbagliando); e penso, ancora, al calciatore che può guadagnare cifre astronomiche (un calciatore del calibro di Totti, ad esempio, può prendere anche 5 milioni di Euro l'anno) e a come si potrebbero investire quelle stesse cifre, sempre nell'ambito dello spettacolo, restituendo almeno un po’ al mondo ciò che il mondo ha reso possibile ad alcuni – musicisti, artisti, scrittori e poeti – creare.
Una partita di calcio riempie la testa di pensieri e sentimenti a molti: c’è l’attesa, l’identificazione con la squadra (la “mia” squadra), il durante e il dopo. Impossibile lasciare spazio ad altre riflessioni. Gioia e dolore, attesa o rabbia ne scaturiscono e distolgono da tutto il resto.
Una musica, invece, o una rappresentazione teatrale, ti permettono un viaggio dentro, all’interno, e fuori; e dunque ti arricchiscono e fortificano; ti fanno vivere tutte le possibili fragilità, ma nello stesso tempo, avendotele fatte attraversare, ti rendono capace di una comprensione più alta. Un lusso raro, che, temo, sarà sempre più difficile concederci.

2 commenti:

carlo santulli ha detto...

Ecco, l'aspetto secondo me essenziale è che i tagli, tutti i tagli, presuppongono delle scelte, quindi di aver stabilito delle priorità: lo sappiamo bene quando in famiglia diciamo "aspetto a comprare questo, perché quello è più importante".
E credo che le priorità che implicitamente, ma nemmeno tanto, si sono stabilite con i recenti tagli alle spese statali, siano quasi più preoccupanti dei tagli stessi.
Perché non sono tagli indiscriminati di forbici cieche, le lame ci vedono benissimo. Ed è questo che mi spaventa.

bruno sales ha detto...

Trovo particolarmente efficace l'immagine delle lame di forbici che 'ci vedono benissimo'.
Beh, se anche noi riusciamo ancora a mantenere gli occhi aperti, a non accettare le menzogne e a non tacere, la mano di chi arma le forbici sarà un po' meno libera.