lunedì 22 marzo 2010

Mine vaganti, la vita esce dallo schermo

Scene come se fosse vita. Sensazioni che escono dallo schermo. E alle parole, ai sussulti, alle risate dei personaggi corrisponde un eco del pubblico, che si lascia coinvolgere da una narrazione che ha il passo di una commedia tradizionale e nuova, leggera e intensa.
Protagonista è una famiglia benestante del Salento, che gestisce un noto panificio, piuttosto conformista e attenta alla reputazione, come accade tra la borghesia meridionale (e non solo) che Pirandello ci ha presentato in svariate opere narrative e teatrali. Stavolta la pietra dello scandalo è qualcosa che scotta anzi che esplode, proprio come le mine vaganti del titolo. L’omosessualità, pubblicamente dichiarata dal figlio maggiore, genera una crepa nel rispettabile clan dopo aver incrinato all'istante, il fisico, il cuore del capo famiglia, forse per il suo ruolo più esposto degli altri nella tutela dell’onore domestico. E alla stimata famiglia sembrano venire meno i solidi ammortizzatori di cui pareva dotata, di fronte alla minaccia dello spietato, inflessibile, onnivoro giudizio degli altri.
La vicenda si snoda accattivante e ben orchestrata assumendo a tratti tinte grottesche e sembianze espressioniste. Si ride parecchio e ci si commuove anche. Gli stessi pregiudizi che causano tanta miseria e dolore finiscono per essere presentati con umanità, perché in fondo sono radicate costruzioni dell’ambiente, che chiedono tempo per essere scardinate.
Forse si riscontra qualche piccolo passo falso nella sceneggiatura, qualche ingenuità nei dialoghi, che però si fanno ampiamente perdonare nel contesto di una grande commedia mediterranea nuova e di qualità.
Non mancano momenti di riflessione, tra tutti una battuta di Tommaso (Scamarcio), il protagonista: - Siamo nel 2010, non nel 2000 - a sottolineare una regressione sociale avvenuta negli ultimi anni, che a ben pensare non investe solo una sconsiderata e becera omofobia, ma tutti gli aspetti della vita, ponendo ostacoli sempre più pesanti alla realizzazione di se stessi.
Il finale sembra superare il tradizionale rapporto morte-vita. È come se il rimpianto, l’eredità morale di una persona che non è più tra noi possa dare corpo all’immaginazione, ai desideri riposti di ognuno. E la morte si innesta nella vita oltre le umane possibilità di incontrarsi, raggiungersi, amare.

domenica 14 marzo 2010

In ricordo Di Jean Ferrat, poeta e cantautore.



In ricordo di Jean Ferrat, chansonnier di poeti e poeta egli stesso, cantautore, voce libera e coraggiosa, scomparso a settantanove anni. Cantava di libertà e di giustizia, di solidarietà e di ideali, ma anche di memorie d’infanzia e di sentimenti. In questa “L’amour est cerise” (L’amore è ciliegia) cantava l’amore, appassionatamente e senza falsi pudori.


Rebelle et soumise

Paupières baissées

Quitte ta chemise

Belle fiancée

L'amour est cerise

Et le temps pressé

C'est partie remise

Pour aller danser


Autant qu'il nous semble

Raisonnable et fou

Nous irons ensemble

Au-delà de tout

Prête-moi ta bouche

Pour t'aimer un peu

Ouvre-moi ta couche

Pour l'amour de Dieu


Laisse-moi sans crainte

Venir à genoux

Goûter ton absinthe

Boire ton vin doux

O rires et plaintes

O mots insensés

La folle complainte

S'est vite élancée


Défions le monde

Et ses interdits

Ton plaisir inonde

Ma bouche ravie

Vertu ou licence

Par Dieu je m'en fous

Je perds ma semence

Dans ton sexe roux


O Pierrot de lune

O monts et merveilles

Voilà que ma plume

Tombe de sommeil

Et comme une louve

Aux enfants frileux

La nuit nous recouvre

De son manteau bleu


Rebelle et soumise

Paupières lassées

Remets ta chemise

Belle fiancée

L'amour est cerise

Et le temps passé

C'est partie remise

Pour aller danser




Qui, invece, canta le parole di Louis Aragon: "Aimer à perdre la raison"

Alberi di democrazia


Non partecipavo a manifestazioni politiche dai tempi del liceo o poco più tardi. Ero (e lo sono ancora) sfiduciato come la maggioranza degli italiani per i motivi che tutti noi conosciamo bene. Perché da dicembre a oggi ne ho fatte tre di seguito? Forse si avverte nell’aria che stiamo vivendo un momento cruciale per la democrazia: fine? inizio? transizione? pericolo?… Penso, ma naturalmente posso sbagliare, che siamo di fronte a un nuovo importante bivio.
Per la cronaca, riguardo alla manifestazione di ieri, il numero di duecentomila comunicato dagli organizzatori è giusto: stavolta la piazza era colma e i partecipanti assiepati inondavano anche gli spazi limitrofi. Perché i portavoce del governo hanno cercato di sminuire il numero dei manifestanti? Addirittura hanno parlato di un decimo… Che cosa temono?...
Fra gli interventi, quello più acclamato è senza dubbio il discorso del leader di un neonato piccolo partito, senza grossi sponsor o appoggi potenti. Forse i cittadini hanno apprezzato il suo talento oratorio a tratti quasi poetico, forse significa che i cittadini si coagulano ed escono fuori dalla sfiducia e dallo sconforto laddove si percepisce una traccia di sincera passione politica.
Secondo me Di Pietro ha esagerato affermando che siamo ad un nuovo 8 settembre ’43, perché all’epoca c’era la guerra, c’erano i nazifascisti in armi e tutto quello che sappiamo. Si tratta tuttavia di una fase delicata: le anomalie sociali, politiche, istituzionali sono state innumerevoli negli ultimi tempi tanto da stordirci o anestetizzarci. La vicenda oggi sulla cresta dell’onda, quella della presentazione delle liste elettorali prende un sapore da repubblica delle banane. Un caso senza precedenti in 65 anni di democrazia, che sta facendo saltare tribune politiche, confronti, dibattiti con i candidati per discutere di problemi reali. Temo che a questo punto una vittoria del centrosinistra nel Lazio non sarebbe riconosciuta dagli avversari: e allora che succederà? Si dovrà tornare alle urne? Ma sulla base di quali regole? Uno stato di diritto non si fonda su regole certe e condivise?...
Per questo caso e per altri centro o mille, si prospetta il rischio di una frana della democrazia, proprio come quelle che vediamo trascinare alla rovina case, palazzine, interi paesi. Frane causate dall’incuria, dal mancato rispetto dei piani regolari, da abusi edilizi, da concessioni illegittime, dalla deforestazione. Per arginare il pericolo credo che oggi ogni cittadino cui sta a cuore lo stato di diritto sia chiamato ad un pacifico, civile impegno per non lasciare spazi vuoti dove potrebbe collocarsi la mala pianta della corruzione, della prepotenza, della criminalità, del disprezzo delle regole, dell’arroganza, del degrado. Penso che in questa fase di transizione non si debba lasciare nulla di intentato perché il cambiamento si indirizzi nel sentiero giusto, senza scossoni insostenibili o pericolose frane, per evitare le quali siamo tutti coinvolti ad avviare un processo di rimboschimento dove ognuno pianterà a suo modo e secondo le sue possibilità, energie il proprio albero di democrazia.

venerdì 5 marzo 2010

Genocidi e brava gente


Anche gli Stati Uniti di Obama riconoscono il genocidio degli Armeni cristiani, compiuto dai Turchi nel corso della prima guerra mondiale. Con il suo milione e mezzo di vittime, si tratta di uno sterminio che non ha nulla da invidiare alla più nota Shoa, se si tiene conto delle inferiori capacità organizzative dei Turchi e delle tecniche meno evolute di cui potevano disporre, e soprattutto del numero degli Armeni presenti nell’Impero Ottomano che, all'inizio della guerra, risulta inferiore ai due milioni e mezzo.

Tempo fa mi è capitato di scambiare qualche parola con un cittadino turco che attualmente vive in Italia; si è dimostrato cordiale e di mentalità aperta, fino a che non ho portato il discorso sulla questione degli Armeni; era da poco uscito il fim dei Taviani ‘La masseria delle allodole’, ispirato appunto a questi tragici eventi di quasi un secolo fa. Il suo sguardo si è rabbuiato, ha negato il genocidio, ed ha ammesso soltanto qualche migliaio di morti che nelle operazioni belliche furono purtroppo un male inevitabile. Io non l’ho contraddetto e ho lasciato cadere il discorso, sapevo che in Turchia una legge punisce chi sostiene la veridicità del genocidio armeno con pene detentive, senza contare che gli estremisti hanno già ucciso chi ha fatto pubblicamente affermazioni in tal senso. Forse la Turchia, sebbene candidata ad entrare in Europa, non è ancora un paese pienamente democratico come la Germania che ha riconosciuto i propri crimini di guerra o come l’Italia, dove è possibile parlare liberamente della pioggia di iprite impiegata per sterminare abissini completamente inermi, o del “tentativo di bonifica etnica” (come lo definisce Angelo Del Boca nel saggio ‘Italiani brava gente?’) compiuto in Slovenia durante la seconda guerra mondiale, con tanto di lager dove venivano internati civili, compresi donne e bambini, che spesso morivano di malattie e di stenti; fatti, questi ultimi, che di certo non giustificano ma probabilmente aiutano a comprendere l’atroce fenomeno delle ‘foibe’, il quale per quanto orribile, tuttavia non è comparabile alla immane tragedia della Shoa, e non soltanto per una questione numerica (il rapporto dei caduti è di circa 1 a 1000), ma anche perché gli Ebrei non avevano mai occupato militarmente il territorio della Germania e tantomeno avevano mai pensato di attuare deportazioni di Tedeschi in campi di concentramento. Sono argomenti delicati, che spero di aver espresso nel rispetto di tutti e soprattutto delle vittime di ogni etnia. Confido inoltre che nella civile Italia democratica, ciascuno sia libero di esprimere le proprie riflessioni, come ricorda anche il liberale art. 21 della nostra Costituzione e l’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (‘Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione […]‘).

Ora, per concludere, visto che ho cercato di mettermi nei panni di Armeni, Etiopi, Sloveni, Ebrei e naturalmente degli Italiani, vorrei cercare, in qualche modo, di fare la stessa operazione con i Turchi, tramite una semplicissima, banale riflessione. Posto che a ciascuno nel proprio focolare domestico fa piacere sentirsi in pace e con la coscienza tranquilla, presumibilmente l’attuale governo turco (come i precedenti del resto) non vuole saperne di ammettere il genocidio degli Armeni anche perché – mutatis mutandis – al pari di noi Italiani e verosimilmente di qualunque altro popolo, anche loro a casa propria, forse amano fregiarsi dell’epiteto di ‘brava gente’.

Quattro piaghe dell'Italia

[1] Piaga politica La divisione tra legislativo, esecutivo e giudiziario è sostituita dalla concentrazione di potere politico, mediatico ed economico. L’esecutivo fagocita il legislativo con il costante ricorso al “voto di fiducia”, presentato come prova e garanzia della solidità di governo; il connubio tra potere esecutivo e mediatico legittima se stesso delegittimando, ogniqualvolta è necessario, il potere giudiziario, presentando l’operato di quest’ultimo come potenzialmente in contrasto con la volontà del popolo.
[2] Piaga sociale Mentre la piramide generazionale si rovescia, con un costante incremento della percentuale dei vecchi rispetto ai giovani, i giovani hanno tutele sociali sempre minori ed incontrano difficoltà sempre maggiori nel far corrispondere incarichi dignitosi di lavoro ai loro percorsi di studio. Su un altro livello, sfruttamento e privazione di dignità sono il destino di tanti immigrati, non solo quelli irregolari, in contesti nei quali per lo più si continuano a proporre le misure di polizia come strumento politico privilegiato per l’integrazione e la sicurezza.
[3] Piaga culturale Si disinveste dalla scuola e dalla ricerca e si susseguono riforme incerte dell’Università, in assenza di una visione sistemica. Nella realtà plasmata sulle grammatiche dello spettacolo, c’è sempre meno spazio per ciò che non è spettacolo, per ciò che non è appetibile al gusto plebeo, per ciò che richiede fatica, per ciò che è difficile. Sarebbe il caso di aprire discussioni pubbliche sull’educazione e sulla povertà, sull’ambiente, sulla deriva plebea delle pratiche democratiche e sull’elaborazione generativa dei conflitti; ma, fatta eccezione per i servizi dedicati alle situazioni di emergenza, la televisione preferisce mettere in scena quotidianamente lo show di una pseudo-povertà (le varie isole dei famosi), di una pseudo-opportunità di ricchezza (i giochi, i quiz, le lotterie), lo show della partecipazione (i televoti), lo show di pseudo-conflitti (i dibattiti politici spettacolarizzati) e così via. Così la memoria del cittadino spettatore con inclinazione alla passività diventa sempre più, lentamente, cultura e memoria dello show.
[4] Piaga etica C’è un clima di “vacanza morale”, per usare un’espressione di Primo Levi. La piaga etica attraversa ed alimenta tutte le altre. Lo si nota, da ultimo, nelle prese di posizione incerte e nei tentennamenti dell’iniziativa politica su fenomeni di corruzione diffusi. C’è chi ha potuto “ridere” del verificarsi di un devastante terremoto, pregustando di lucrare sulla tragedia. C’è una rete di contatti e prassi che ha consentito a qualcuno di ridere in quel modo. L’immoralità e l’illegalità sono diffuse in tutti i livelli della vita sociale, ma è grave che non ci preoccupi anzitutto, quotidianamente, con scrupolo incalzante, della moralità di chi temporaneamente ha la responsabilità di governare, al di sopra di ogni sospetto. Ci si preoccupa invece per mesi, introducendo una formula inaudita nella storia mondiale delle democrazie, della «serenità di chi governa».