venerdì 5 marzo 2010

Genocidi e brava gente


Anche gli Stati Uniti di Obama riconoscono il genocidio degli Armeni cristiani, compiuto dai Turchi nel corso della prima guerra mondiale. Con il suo milione e mezzo di vittime, si tratta di uno sterminio che non ha nulla da invidiare alla più nota Shoa, se si tiene conto delle inferiori capacità organizzative dei Turchi e delle tecniche meno evolute di cui potevano disporre, e soprattutto del numero degli Armeni presenti nell’Impero Ottomano che, all'inizio della guerra, risulta inferiore ai due milioni e mezzo.

Tempo fa mi è capitato di scambiare qualche parola con un cittadino turco che attualmente vive in Italia; si è dimostrato cordiale e di mentalità aperta, fino a che non ho portato il discorso sulla questione degli Armeni; era da poco uscito il fim dei Taviani ‘La masseria delle allodole’, ispirato appunto a questi tragici eventi di quasi un secolo fa. Il suo sguardo si è rabbuiato, ha negato il genocidio, ed ha ammesso soltanto qualche migliaio di morti che nelle operazioni belliche furono purtroppo un male inevitabile. Io non l’ho contraddetto e ho lasciato cadere il discorso, sapevo che in Turchia una legge punisce chi sostiene la veridicità del genocidio armeno con pene detentive, senza contare che gli estremisti hanno già ucciso chi ha fatto pubblicamente affermazioni in tal senso. Forse la Turchia, sebbene candidata ad entrare in Europa, non è ancora un paese pienamente democratico come la Germania che ha riconosciuto i propri crimini di guerra o come l’Italia, dove è possibile parlare liberamente della pioggia di iprite impiegata per sterminare abissini completamente inermi, o del “tentativo di bonifica etnica” (come lo definisce Angelo Del Boca nel saggio ‘Italiani brava gente?’) compiuto in Slovenia durante la seconda guerra mondiale, con tanto di lager dove venivano internati civili, compresi donne e bambini, che spesso morivano di malattie e di stenti; fatti, questi ultimi, che di certo non giustificano ma probabilmente aiutano a comprendere l’atroce fenomeno delle ‘foibe’, il quale per quanto orribile, tuttavia non è comparabile alla immane tragedia della Shoa, e non soltanto per una questione numerica (il rapporto dei caduti è di circa 1 a 1000), ma anche perché gli Ebrei non avevano mai occupato militarmente il territorio della Germania e tantomeno avevano mai pensato di attuare deportazioni di Tedeschi in campi di concentramento. Sono argomenti delicati, che spero di aver espresso nel rispetto di tutti e soprattutto delle vittime di ogni etnia. Confido inoltre che nella civile Italia democratica, ciascuno sia libero di esprimere le proprie riflessioni, come ricorda anche il liberale art. 21 della nostra Costituzione e l’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (‘Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione […]‘).

Ora, per concludere, visto che ho cercato di mettermi nei panni di Armeni, Etiopi, Sloveni, Ebrei e naturalmente degli Italiani, vorrei cercare, in qualche modo, di fare la stessa operazione con i Turchi, tramite una semplicissima, banale riflessione. Posto che a ciascuno nel proprio focolare domestico fa piacere sentirsi in pace e con la coscienza tranquilla, presumibilmente l’attuale governo turco (come i precedenti del resto) non vuole saperne di ammettere il genocidio degli Armeni anche perché – mutatis mutandis – al pari di noi Italiani e verosimilmente di qualunque altro popolo, anche loro a casa propria, forse amano fregiarsi dell’epiteto di ‘brava gente’.

1 commento:

bruno sales ha detto...

Sì, è sempre facile per un individuo, così come per uno stato, frugare tra i panni sporchi di altri individui e di altri stati. Meno facile è scandagliare la propria coscienza alla ricerca delle contraddizioni, delle ipocrisie e dei lati meno nobili che vi si annidano.
Soltanto da pochi anni noi Italiani siamo riusciti a vedere e ad ammettere - a fatica - le atrocità commesse dai nostri 'nonni' contro le popolazioni etiopi. Le crisi di coscienza richiedono tempo, molto tempo: e forse per il popolo turco è ancora presto per un mea culpa, come Enrico sembra suggerire nella sua bella riflessione.