Il compromesso è cosa ben diversa dalla mediazione. Quest’ultima rappresenta un accordo leale fra gentiluomini (e gentildonne, per ravvivare un po’ l’espressione usurata), che non comporta la rinuncia ai propri ideali e valori. Il compromesso, invece, si basa su una trasformazione, magari non evidente a tutta prima o non consapevole, della propria identità nei suoi tratti essenziali. Nella mediazione (un mezzo, appunto) infatti, non ci si muove in contrasto con i fini che si perseguono, nonché con i propri ideali e valori; nel compromesso, al contrario, si cede alla lusinga del fine che giustifica i mezzi e ci si trasforma fino a diventare irriconoscibili a noi stessi e agli altri. Dire che ritengo indispensabile l’arte della mediazione, ma deleteria la disponibilità al compromesso è necessario per poter parlare di sogni.
Una volta, tanto tempo fa, sognavo, come fanno gli adolescenti, di un mondo migliore: un mondo pacificato, nel quale i conflitti fossero tollerati e mediati, ma non affrontati con guerre e sopraffazioni. Un mondo più giusto, nel quale nessuno fosse costretto a morire di fame o di emarginazione. Un mondo più colorato, nel quale a regnare non fosse la cappa del senso di colpa e della conseguente minacciata punizione, proporzionale al peccato commesso, ma il piacere della reciproca compagnia e la condivisione delle cose belle e buone, nel rispetto della natura. Ma soprattutto sognavo di un mondo più solidale, regolato dalla sollecitudine reciproca tra noi esseri umani e prima ancora dalla consapevolezza degli elementi avversi e faticosi dell’esistenza, comuni a tutti: la fragilità della propria condizione e l’ineluttabiità del dover attraversare la perdita, la fine delle cose, delle esperienze, delle persone e di noi stessi. Questa consapevolezza avrebbe dovuto, sempre secondo i miei sogni adolescenti, renderci tutti più leggeri, capaci di comprendere anche chi ci è nemico e di ascoltare persino le parole irritanti tese a disconfermare le nostre certezze più profonde. La mia idea di mondo migliore rispetto a quello che conoscevo non riguardava (e non riguarda) solo i grandi territori della politica o dell’economia, ma anche quelli piccoli della quotidianità e di ogni microcosmo relazionale: l’amicizia, la genitorialità, la sessualità e l’amore.
Con il passare del tempo e il sovrapporsi delle fasi della vita questi sogni brutalmente elencati come in un catalogo non sono granché mutati: li ho ripuliti anno dopo anno della loro ingenuità originaria, resi più complessi, messi a confronto di volta in volta con la contingenza del momento e infine mediati nel confrontarmi con chi, singoli o gruppi di persone, avevo vicino.
All’inizio, quand’ero ancora bambina, erano sogni sbocciati all’interno della fede. Ricordo che nelle mie preghiere un po’ bizzarre, quasi sempre create sul momento più che riprodotte passivamente secondo tradizione, mi preoccupavo sempre (e a volte soltanto) degli ultimi e soprattutto di chi mi sembrava poter essere definito come un peccatore, dunque destinato all’isolamento sociale e alla punizione. La fede l’ho persa a 15 anni, proprio per i compromessi che mi si chiedeva di ratificare rispetto ai paradossi di una religione che si proclamava pacifista e si muoveva spesso per crociate violente e guerrafondaie contro i propri nemici. Qualcosa di simile l’ho provato poi sempre, nei confronti di raggruppamenti di carattere politico o culturale nei quali mi riconoscevo, ma rispetto alle cui scelte e ai compromessi che mi si chiedeva di ratificare con il mio consenso mi sentivo estranea. Ancora oggi mi chiedo, giorno dopo giorno, se quella parte politica che potremmo genericamente chiamare “sinistra” e nella quale mi riconosco, non stia pagando il prezzo più alto che si possa immaginare: la perdita di ideali e valori forti che renderebbero possibile ed efficace la mediazione, in favore di un‘inconcludente tecnica del compromesso.
I sogni sono importanti, perché muovono gli uomini e permettono loro di trasformare il mondo.
1 commento:
Credo di essere perfettamente in sintonia con il discorso relativo al compromesso, forse proprio per le ragioni esposte non ho mai fatto parte di gruppi politici. Riguardo alla parte finale mi sorge qualche interrogativo. Non potrebbe essere che la crisi della sinistra sia stata causata proprio dal brusco risveglio dopo un lungo sogno, e cioè dal crollo dell’utopia del comunismo (cui ho creduto anche io negli anni del liceo)?
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