lunedì 31 agosto 2009

Essere o non essere (su Facebook)


“Essere su Facebook”. Chi lo considera un mezzo di conoscenza, chi una necessità per dimostrarsi ‘cool’, chi un abominio, chi un amplificatore per poter far conoscere a tutti le proprie opinioni, chi un canale adolescenziale, chi un’occasione per esprimere se stesso, chi nulla più che una metafora dei rapporti vis a vis.
Forse Facebook è effettivamente un po’ tutte queste cose, e molte altre, nel magma di individualità che ne formano la rete. Ognuno, che lo voglia o meno, che ne sia o meno consapevole, inietta in Facebook i tratti distintivi del proprio carattere, contribuendo con i propri pregi e anche con i propri difetti allo sviluppo di questa sorta di personalità multipla e al clima che vi si respira, momento per momento.
Anch’io, da qualche tempo, sono su Facebook. Non è molto, appena pochi mesi, e neanche la mia frequentazione è molto assidua: di certo non rimango collegato per ore e ore. Questo breve periodo, comunque, mi ha dato l’impressione che il bilancio del network sia, almeno per ora e sotto diversi aspetti, positivo. Nel senso che questa nuova modalità di comunicazione consente una partecipazione attiva ai fermenti culturali della società, non importa se ‘alti’ o ‘bassi’. Dipende da come la si usa.
Ben vengano le espressioni di gioia, quelle di malessere, le frasi di tre parole, i testi di cinquanta righe, le foto del gatto, quelle del nonno, le albe e i tramonti, i video di Eisenstein e quelli dei Griffiths.
Quanto alle volgarità gratuite, agli insulti, al cinismo, all’incitamento alla violenza: grazie, ne faccio volentieri a meno.

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