domenica 6 giugno 2010

Cavalieri, cavalli e moto


Voglio essere molto impopolare, stasera. Impopolare e antipatica. Ce n’è bisogno, forse, in un’epoca nella quale si cerca, talvolta, il consenso, rincorrendo le parole d’ordine dello schieramento opposto al proprio quando appaiono vincenti, cioè popolari.

Questa domenica di sole non l’ho trascorsa al mare, ma sono stata al CTO (Centro Traumatologico) di Firenze in veste di zia di un ragazzo di 16 anni ricoverato dopo un incidente di moto. Non era l’unico giovanissimo immobilizzato nel letto e con uno o più arti ingessati, il volto fattosi quasi evanescente nello sprofondare tra i cuscini e l’aria spersa e sbigottita nel trovarsi catapultato in una dimensione così inconsueta, tra cateteri, aghi, odori dolciastri e pungenti insieme; con al proprio capezzale le figure sollecite degli adulti, sollevati per lo scampato Pericolo Maggiore, ma in apprensione per tutti gli altri pericoli, sia pure minori, in agguato: per esempio per le protesi di questo o quel segmento corporeo, le viti, i chiodi, i tasselli con i quali i propri teneri virgulti potrebbero venire inchiavardati, trasformati, almeno nelle fantasie paurose più recondite, in un’entità mista tra vivente e inorganico, in indefinibili ibridi destinati a portare nella propria carne le stimmate perenni della giovanile e incosciente esuberanza. La fugace apparizione di un camice svolazzante genera subito quel tipico affannarsi d’ospedale, negli adulti, che fanno a gara a tallonare il miraggio bianco per carpire una parola in più di spiegazione, oltre quelle piuttosto fredde delle prognosi infarcite di termini specialistici; ma più che altro alla ricerca di una rassicurazione, di una consolazione, di un’autorevole azione capace di normalizzare l’evento che li fa sentire protagonisti ansiosi e disorientati di un dramma. E ci sono poi le prediche, i sermoni di noi adulti inascoltati rivolti a quelle giovani vittime della propria incoscienza; con timido imbarazzo, talvolta mascherato da rudezza. Ma li perdoniamo subito in realtà; siamo stati anche noi come loro e comprendiamo il bisogno di mettersi alla prova, l’elemento di sfida che è insito, anche se non consapevolmente, in certi loro gesti e comportamenti che somigliano così tanto ai nostri di quando avevamo la loro età. Quando non si è ancora adulti, ma ci sentiamo velleitariamente tali nel senso che di quella condizione abbiamo le caratteristiche psicofisiche, ma non il potere, l’autonomia.

Proprio da ieri è ricoverato qui, ironia della sorte, anche Valentino Rossi, con fratture esposte – apprendo – della tibia e del perone; non molto più grande, anagraficamente parlando, di alcuni di questi anonimi colleghi di disavventura di mio nipote, ma a differenza di loro del tutto autonomo dal punto di vista economico e del riconoscimento sociale anche alla loro età. E’ al piano di sopra e non si parla d’altro. Al personale è ora di questo che si chiede notizia: se l’hanno visto, se sanno cosa fa e come sta; e ci si interroga, per esempio, su cosa abbia mangiato, se lo stesso cibo che sta per essere servito “qui e ora” oppure no...Qualche volta se ne parla guardando in alto, al soffitto che è una cosa sola con il pavimento del piano di sopra, dove ognuno di quei ragazzi, ora, vorrebbe trovarsi. Mentre la televisione trasmette (e loro, i ragazzi ingessati e attaccati a cateteri, aghi e tubi d’ogni sorta, la guardano rapiti) una corsa di moto con l’enfatico commento del giornalista che si accorda al rombare superbo dei motori. Il cortile antistante e l’atrio sono ormai definiti in relazione al ricovero eccellente, quello per il quale batte unanime il cuore degli italiani, finalmente uniti per un comune sentire, nel momento nel quale sembrano sempre più accattivanti le tentazioni scissioniste del federalismo. Ecco perché mi sento così impopolare da alcune ore: perché provo rabbia di fronte alle telecamere che incontro al mio venirmene via, alla fan - tifoseria con le maglie gialle, agli intervistatori e agli intervistati e persino leggendo i cartelli appesi da anonimi ammiratori nel cortile. Nei volti dei ragazzi ricoverati prima di uscire ho colto una sorta di impalpabile trasformazione: meno timidezza, meno sbigottimento, meno ripensamento dubitoso ancorché inespresso, ma una sorta di identificazione fiera con Valentino Rossi, quasi per un atto di eroismo.

Penso che specialmente da giovani sia intenso il bisogno di sfidare i propri limiti psicofisici con atti di coraggio: ma che tali atti un tempo fossero nella maggior parte dei casi ispirati da ideali – politici, sociali o anche personali, legati per esempio a un sogno d’amore perseguitato e offeso – e oggi siano sempre più insensatamente fini a se stessi. Costruire eroi di cartapesta, destinati a spegnere in giovanissima età la propria gloria senza farne tesoro per altri e ripagati innanzitutto dall’accumulo di denaro oltre l’immaginabile: questo è il segno dei tempi. Il cavaliere, eroe di epoche passate, e il suo cavallo, erano compagni di viaggio vivi entrambi che parlavano linguaggi diversi e li accordavano, momentaneamente, in vista dell’impresa voluta dall’uomo in armi, come gli strumenti prima di un concerto. La moto e il suo centauro, invece, l’uno vivo e l’altra inerte oggetto inorganico, finiscono per scambiarsi le parti: ed è la moto che ha il potere di soverchiare l’uomo nel decidere l’impresa, in un rovesciamento paradossale in virtù del quale il mezzo – la moto, appunto - diventa il fine stesso dell’agire.


3 commenti:

enrico meloni ha detto...

"Ripagati innanzitutto dall’accumulo di denaro oltre l’immaginabile": la polemica che vede protagonista Calderoli (insolitamente paladino di una giusta causa) e i premi della nazionale di calcio la dice lunga sullo squilibrio delle retribuzioni e sul rovesciamento dei valori: con quale arroganza i calciatori scandalosamente pagati protestano per un eventuale riduzione dei loro compensi in un brutto periodo di crisi?... Cosa dovrebbero dire i cassintegrati, i disoccupati, i senza tetto, i tartassati cervelli in fuga?... Purtroppo nella nostra epoca sulla sostanza, sulla ragionevolezza, sull'equità vince l'icona, il simbolo, la merce, la moto in questi sfortunati casi da CTO.

Enrico Quattrin ha detto...

Mi permetto una segnalazione letteraria: Ballard, in particolare "la mostra delle atrocità".

Mi sembra che nessun altro abbia affrontato il nesso che oramai lega l'umano con il meccanico. Indagare questo rapporto significa indagare i motivi per cui "piace" una determinata curva nella linea di un cupolino e nei fanali di una nuova automobile. E per rifletterci dovremmo ammettere che non si tratta di qualcosa di molto diversa dal "piacerci" di un altro essere umano.
Non sono del tutto d'accordo quindi sul nesso: cavaliere e cavallo, oggetti vivi e accordati, e centuaro/motociclista come simbiosi di vita e oggetto. Valentino Rossi è un oggetto quanto la sua moto, nel desiderio collettivo. E una moto per un ragazzino è l'attuazione di un desiderio che è in larga parte "carnale".

Chiudo ricordando, a memoria, e forse sbaglio, Lem (ma forse era Dick) che diceva che il vero futuro romanzo di fantascienza sarebbe stato la storia di un uomo che violenta una macchina da cucire.

luca mori ha detto...

Personalmente capisco l'"ebbrezza" che una moto può dare: in un certo senso, proprio perché di mezzo meccanico si tratta, può dare la sensazione di un'amplificazione della "propria" forza, facendo perdere perciò più facilmente il senso del limite. Anche perché le reazioni e le risposte del mezzo meccanico superano quelle dell'animale e in un certo senso appaiono "incorporate", come se scaturissero da sé... Questo però, seguendo la bella analogia/distinzione tra moto e cavallo, produce un vuoto dal punto di vista del "feedback" che il "pilota" dovrebbe avere. Ne consegue un'illusione di onnipotenza, o almeno di ultrapotenza. C'è poi la differenza fondamentale tra la strada e la pista, che aprirebbe un discorso a parte