giovedì 21 maggio 2009

Scrivere su carta virtuale: una reversibilità che può essere liberatoria.


L’immagine di Isotta che scrive a Tristano, una delle più note di Aubrey Bearsdley, mi ha sempre suscitato una sorta di commozione. E’ distante e vicina nello stesso tempo. Ci si immagina che il raccolto scrivere di questa donna, avvolta dai suoi lunghi neri capelli, avvenga nella notte, anche se nessun indizio grafico ce lo dice. Si percepisce la solitudine e un ponte gettato a colmarla, fatto di parole su carta. E' una solitudine amica, non ostile, che permette di pensare e di esprimere ciò che si sente in maniera diversa - e a volte anche più intensa - rispetto al dialogo delle voci.

Ho inviato moltissime lettere in passato, agli amici lontani, ma anche alle persone vicine, comprese quelle di quotidiana frequentazione. Ciò che veniva scritto aveva il segno dell’irreversibilità. Si distaccava da chi scriveva per essere fatto oggetto di possesso da chi riceveva la lettera e non era modificabile né tanto meno eliminabile da parte dell’autore. Il paradosso di quella scrittura era proprio questo: cioè che pur nascendo come forma di comunicazione poteva appartenere solo all’uno o all’altro degli interlocutori, a chi scriveva o a chi leggeva: insomma, a una persona alla volta.

Mi sono iscritta a Facebook dopo tanto pensare critico in proposito che però ha sempre controbilanciato la mia curiosità. Temevo una sorta di invadenza degli altri e una più pesante irreversibilità delle azioni di scrittura. Poi mi sono detta che anche per criticare un luogo di relazioni o un percorso occorre sperimentarlo.




E' buffo: il piano scrittorio inclinato sfiorato dalle mani di Isotta sembra quasi un portatile...












Sono solo tre giorni di frequentazione molto frammentata di Facebook, impiegata soprattutto a cercare di scoprirne gli aspetti tecnici, ma anche a strutturare il mio spazio come cornice relazionale e a proposito di questa seconda qualche problema si è già presentato: per esempio come fare con chi, amico, si propone con un simbolo politico anziché con un’immagine personale. Tra le due categorie (vetuste) di destra e sinistra mi colloco in una delle due piuttosto che nell'altra ed è la stessa della maggior parte dei miei amici; ma non mi riconosco in alcuna formazione organizzata. La piccola incertezza relazionale dettata dalla foto del profilo di una richiesta di amicizia mi ha costretto a pensare: alle categorie di cui sopra (“destra” e “sinistra”) per esempio; ma anche alla responsabilità di ciò che viene scritto su carta virtuale, cioè condivisa e non più possesso solo dell’uno o dell’altro. Nel caso specifico ho risolto inserendo nel mio profilo una specificazione (che all’inizio avevo deciso di non mettere) sul mio orientamento politico e la mia non appartenenza a organizzazioni strutturate. Il tutto nel segno della reversibilità, cioè nella dimensione del possibile.

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