sabato 13 febbraio 2010

Chiostri

Monastero di clausura di Santo Spirito, fondato nel XIII° secolo. Ho sempre trovato molto affascinanti i chiostri nella loro ambivalenza: rappresentano una possibile via di fuga, ma anche l’ingresso in uno stato di prigionia; possiamo definirli sia come dentro che come fuori; ci fanno vedere, ma anche ci nascondono; rendono impossibile non essere visti, ma permettono anche di sottrarsi alla vista. Il chiostro di questo convento di clausura è tessuto di giochi di archi, di passaggi, di grate, di pesanti portoni sbarrati, di scuri serrati, di cipressi, di rovi e di muschio. Il colore delle pietre è il giallo caldo del tufo: un colore sensuale che evoca carnalità non represse, odori forti, profumi inebrianti, cibi, bevande, luce, vita e che qui genera un contrasto insopportabile con il senso del luogo (la fuga dalla materialità dell’esistenza che definisce la condizione di clausura) e lo rende particolarmente affascinante. Monache. Donne delle quali mi figuro i silenzi, l’alacrità dei lavori d’ago e dell’impastare i dolci e il pane, le preghiere a ritmare il silenzio della notte, le palpebre abbassate e i corpi diafani ravvolti nelle vesti scure. Mute donne nere che intravedo, in una sorta di rêverie diurna, rasentare attraverso i secoli i muri di corridoi interminabili, con gli occhi bassi, il volto in ombra, il sorriso appena accennato e quasi timoroso di esistere. Non riesco a immaginare scelta di donna più distante dalle mie (e so che forse mi pentirò, tra poco, di quello che sto per scrivere); eppure, ora, mentre cerco di catturare le sensazioni con la macchina fotografica senza riuscire ad accontentarmi dei miei scatti, sono sorpresa da un senso repentino e quasi grottesco di vicinanza che mi possiede tutta. E non posso fare a meno di pensare che noi donne, in qualche modo o in mille diversi modi, siamo ridotte spesso, almeno simbolicamente, al silenzio. E’ il silenzio dei nostri corpi ai quali è vietato invecchiare o farsi di tanto in tanto davvero fragili; è il silenzio delle nostre proteste inespresse che potrebbero risultare tediose o pesanti; è il silenzio, il più crudele di tutti, del nostro inascoltato chiedere di essere guardate così come siamo, senza dover mettere in atto calcoli di seduzione legati all’indulgenza comprensiva, alla sensibilità pietosa e accogliente costi quel che costi e alla cura degli altri disgiunta da quella di sé.

1 commento:

enrico meloni ha detto...

Apprezzo questo post, anche se ho qualche dubbio sulla parte finale. Forse ai nostri giorni le differenti condizioni di donne e uomini sono meno concrete. Banalmente, per quanto riguarda l’aspetto fisico, basti pensare ai vistosi rimedi che pone in essere il nostro presidente, che pure è un uomo che conta…