venerdì 21 marzo 2008

Scrivere per sé, scrivere per altri

Credo di avere capito affettivamente, prima ancora che nella dimensione riflessiva, il senso di questo spazio di scrittura. E, per quel che ho capito, lo condivido.
E’ legato all’amore per il frammento, per esempio. All’idea, cioè, che un piccolissimo pezzo di realtà possa essere capace di racchiuderla tutta. All’idea, anche, che ci siano legami tra esperienze apparentemente irrelate e lontane e che scoprirli e metterli in luce rappresenti una sorta di sfida che vale la pena raccogliere, ma anche in qualche modo un gioco, sia pure adulto.
La scheggia si insinua anche dove non è prevista o ben accetta. Forse. La scheggia si direziona verso interlocutori più o meno noti e con i quali ci si può sentire in sintonia, ma può raggiungerne altri sconosciuti, inimmaginati, probabilmente anche assai diversi per visione del mondo, storia, valori professati, sogni gelosamente riposti da qualche parte, dentro di sé.
Questo spazio di scrittura è legato, magari, anche all’amore per il paradosso. Non si può scrivere per altri senza che la scrittura diventi anche uno scrivere per sé, che ne siamo o meno consapevoli. E non si può neanche scrivere per sé, senza fare i conti con i fantasmi degli interlocutori che desidereremmo avere. Il pensiero paradossale permette di cogliere una realtà più complessa e tutta l’ambivalenza, positiva, delle nostre esperienze, senza bisogno di fingere territori del bene e del male rigidamente separati.
Questo spazio, probabilmente, è originato anche dal bisogno, che non sembra trovare ascolto, di un modo di fare politica che non la identifichi solo con quella istituzionale, ma la leghi a tutti gli ambiti di esistenza, compresi quelli dei nostri microcosmi affettivi o culturali e – perché no? - ai territori della nostra psiche.

2 commenti:

enrico meloni ha detto...

Uno degli scopi del blog potrebbe essere anche scoprire il senso che ciascuno gli attribuisce. In questo modo il “diario di bordo” si arricchisce di significati come una poesia che si rinnova ogni volta che un lettore scopre in essa una qualità , una caratteristica, una risonanza prima di allora ignorata, o semplicemente un ricordo personale o un’emozione dimenticata.
Alcuni sostengono che tanto proliferare di telecomunicazioni, in realtà ci isoli sempre di più. Vediamo se le cose stanno effettivamente così oppure se è possibile che da una comunità virtuale possa nascere quel “certo umano tepore”, con il quale termina il post di Nicola ("Blog").

maria antonella galanti ha detto...

Hai ragione. E poi si è tanto più isolati quanto più si recita la socializzazione forzata ed effimera del trovarsi tutti insieme negli stessi luoghi.Al contrario, forse, bisogna sapere essere soli per poter scegliere di entrare in relazione con l'altro.