martedì 17 giugno 2008

Ritorno alla meritocrazia?

Ho sentito oggi pomeriggio un 'esperto' parlare alla radio della necessità di un ritorno alla meritocrazia in Italia.
Ho udito bene? Ritorno? Quale ritorno? E’ mai accaduto, nei bei tempi andati, che in Italia fosse realmente esistita una parvenza di meritocrazia? Che io sappia, nel nostro amato paese le persone che contano hanno sempre fatto parte della classe imprenditoriale, della classe politica e del clero e oggi, in subordine, del mondo della televisione e di quello del calcio. Lascio fuori mafia, camorra e ‘ndrangheta, delle quali non ho informazioni precise, data la loro particolare natura, per così dire, ‘privata’.
Le statistiche e gli studi di sociologia ci ricordano, però, che in Italia, fatte salve rarissime eccezioni, i figli dei medici fanno i medici, i figli degli avvocati fanno gli avvocati, i figli degli imprenditori fanno gli imprenditori, i figli dei commercianti fanno i commercianti, i figli degli idraulici fanno gli idraulici, i figli degli impiegati fanno gli impiegati, i figli degli operai fanno gli operai. Talvolta i figli delle ultime due categorie fanno i disoccupati e questa è l’unica incrinatura di un sistema granitico che si perpetua sempre uguale a se stesso, da tempo immemorabile.
Dunque, per predire il futuro di un bambino basta conoscere la classe sociale di provenienza, come ben sanno gli studiosi di psicologia sociale. Non è necessario valutare l’intelligenza, o la creatività, o le capacità di relazione. In tutto questo, dov’è il merito?
Dov’è il merito, se il figlio dell’operaio non può diventare avvocato e il figlio del medico non può diventare operaio? Dove può annidarsi il merito, se viene stritolato tra i confini serrati di un insieme di caste altrettanto chiuse di quelle indiane?
Siate gentili, gentili esperti radiofonici: parlate pure di tutte le crazie che volete. Parlate di tecnocrazia, di gerontocrazia, di familiocrazia, o anche della cara e vecchia democrazia.
Non parlate di meritocrazia. Non ce lo meritiamo.

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