domenica 22 giugno 2008

Sanità senza salute

I nuovi e pesanti tagli annunciati alle spese per la sanità pubblica rinnovano un copione già ben conosciuto.
Nel frattempo, del tutto in sordina, è stata decretata la morte del Ministero della Salute, incorporato nel nuovo Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Non si tratta soltanto di un mutamento di nome. Di fatto, la perdita di un ministro ad hoc, declassato a sottosegretario nel nuovo Ministero, significa la fine di una politica sanitaria nazionale e, dunque, l’inizio della fine per il Sistema Sanitario Nazionale, che dovrà scindersi in una nutrita serie di sistemi sanitari regionali, ognuno con un proprio livello qualitativo e quantitativo standard.
Non è difficile ipotizzare che il taglio massiccio dei fondi a livello nazionale farà sì che ogni regione dovrà sostenere la propria sanità prevalentemente con le proprie entrate. Naturalmente le regioni del Centro-Nord assorbiranno il colpo e, credo, continueranno a garantire livelli di assistenza pubblica, se non ottimali, quanto meno dignitosi. Naturalmente, da questa situazione, la sanità privata trarrà un indiscutibile vantaggio. Naturalmente, a farne le spese sarà la qualità della salute della maggior parte dei cittadini che abitano le regioni del meridione e, più in generale, le fasce più deboli: disoccupati, lavoratori a basso reddito, anziani, disabili.
Nell’ormai lontano 1978, quando si concretizzò la legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, la parola d’ordine era ‘universalità’: universalità della prevenzione e della cura, cioè pari opportunità, per tutti i cittadini, di accedere alle risorse assistenziali. Un ottimo esempio di democrazia, in una delle sue forme più compiute.
Da allora, come sappiamo, l’Italia si è impoverita progressivamente, purtroppo non soltanto in senso economico. Ci siamo impoveriti di cultura, di solidarietà, di speranza. Oggi, parlare di ‘universalità’ o di ‘uguaglianza’ genera soltanto sorrisi di scherno o, peggio, sguardi pieni di sospetto. Stiamo approdando a una società di stampo neo corporativista, che rappresenta se stessa come una giungla mortale, nella quale ogni individuo deve guardarsi dall’altro e porre come valore supremo il proprio interesse e quello della ristretta casta cui appartiene.
Personalmente, continuerò a rifiutarmi di condividere la visione della società-giungla: non credo, infatti, di poter sopravvivere rinunciando alla cultura, alla solidarietà e alla speranza.

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