sabato 7 febbraio 2009

To be or not to be



Cosa vuol dire ‘vita’ e cosa vuol dire ‘morte’?
Il caso Englaro dovrebbe spingerci a una riflessione pacata e matura sul significato di questi due termini, carichi di implicazioni emotive e ideologiche, eco della nostra condizione umana e insieme riflesso della storia personale di ciascuno di noi. A tutt’oggi, invece, l’attenzione dei media si è concentrata sulle rappresaglie (sulle meschinità, talvolta) e sugli utilizzi strumentali della vicenda operati da alcuni politici, come anche da opinionisti dell’ultima ora.
Non c’è stato spazio perché fosse possibile un onesto approfondimento della vicenda terrena di questa ragazza e dei suoi genitori. Non c’è stato spazio per chiedersi qual è il rapporto tra la vita, con tutte le sue infinite sfaccettature e sfumature, e la presenza /assenza di un corpo fragile e indifeso.
In questi stessi giorni, del tutto casualmente, ben tre diverse uscite cinematografiche hanno ricordato gli eventi della barbarie nazista e la tragedia della Shoah. Esistono, e sono esistiti, percorsi di vita terribili. Esistono, e sono esistite, sofferenze indicibili e inimmaginabili per una persona comune.
Molti di noi, senza poterlo sapere in anticipo e pagando un prezzo altissimo, possono essere in grado di attraversare oceani di dolore. Ma si tratta, comunque, di una scelta. Non tutti possono, o devono, sopportare tutto.
Se desidero, con tutte le mie forze, che la persona amata mi sia vicina nella concretezza e nella fisicità del suo stesso corpo, quando ogni contatto di parola e di pensiero è ormai spento per sempre, posso anche capire, tuttavia, che una vicinanza altrettanto profonda e significativa nasce nel momento in cui accetto di rispettare un espresso desiderio e, anche con il cuore devastato, lascio a quel corpo la libertà di acquietarsi e di riposare.

6 commenti:

enrico meloni ha detto...

Effettivamente si tratta di temi molto delicati e strettamente personali, che purtroppo talvolta vengono strumentalizzati e affrontati, proposti con una buona dose di superficialità e anche di ipocrisia. Non mi stupirei molto se alcuni che si sono scoperti impavidi paladini della vita ad ogni costo, fossero stati favorevoli alla guerra in Iraq, se plaudissero più o meno occultamente al linciaggio dei (presunti) colpevoli meglio se stranieri e diseredati e se, in cuor loro, strizzassero l’occhio al mantenimento della pena capitale (vedi ad es. i paesi dove vengono giustiziati gli omosessuali...) se non anche alla sua restaurazione laddove è stata abolità già nel secolo di Cesare Beccaria.

Anonimo ha detto...

Penso che molti di coloro che si investono quali difensori della vita di Eluana, non siano in realtà spinti dall’amore per lei o dalla compassione per la sua vicenda, ma piuttosto dalla bramosia di imporre le proprie idee o i propri scopi, che essi siano di matrice religiosa o politica.
In ogni caso, si sente la spietata freddezza di chi vuole imporre un principio o trovare un beneficio (magari qualche voto elettorale o qualche forte consenso cattolico) senza minimamente curarsi della sofferenza che ricade su altri. Mi chiedo quante delle persone che sono in Parlamento a fare decreti o nelle piazze a manifestare, abbiano a casa una persona come Eluana, quanti abbiano visto cosa significa vivere come lei o abbiano condiviso questa infinita atrocità con un proprio caro. Possibile che quelli che si chiedono se sia giusto che soffra per alcuni giorni (senza sapere peraltro che vi sono numerose prove scientifiche che dimostrano il contrario), non si preoccupino affatto delle sofferenze indicibili di tutti questi anni, delle piaghe da decubito, degli spasmi, dei rigurgiti, dei tubi che entrano ed escono dal suo corpo?
Se ad una persona che è in grado di comunicare viene concesso di rifiutare una cura, di firmare e lasciare l’ospedale, non vedo perché si debba poi accanirsi con chi non ha questa possibilità, come se prolungando la sua agonia all’infinito, la si potesse favorire in qualche modo.
In realtà, la natura, che è molto meno crudele, avrebbe già deciso da tanti anni sulla sorte di Eluana e non penso affatto che questa sua condizione sia espressione della volontà di Dio che è Amore, ma credo invece che sia solo il frutto di uno scellerato intervento umano, capace di usare una tecnica che non serve a salvare una vita, ma solo a prolungarne le sofferenze.
Mi auguro quindi, che invece di sollevare polveroni di infamie, si trovi la capacità di portare un po’ di conforto e di pace a Eluana e ai suoi cari, permettendo a lei di essere finalmente libera e ai suoi di veder calare il silenzio su una vicenda che merita rispetto e comprensione.

maria antonella galanti ha detto...

Ieri sera, a cena tra pochi amici, parlavamo con raccapriccio e con sgomento delle reazioni nei confronti dei genitori di Eluana e ci sembravano la dimostrazione del progressivo rattrappirsi delle coscienze. Uno di noi ha raccontato di aver visto una scritta, sulle mura di un ospedale, simile a tante altre di ieri e di oggi, cioè con “boia” come aggettivo, ma il nome era quello del padre di Eluana. Mi è sembrato di toccare, direi quasi di sentire con l’olfatto, la cattiveria umana e i limiti verso i quali può spingersi. Mi sento molto vicina al commento di Nicoletta, scritto dal punto di vista di un credente che non usa la propria fede come uno scudo difensivo: eppure, io, credente non lo sono più da tantissimi anni.

carlo santulli ha detto...
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carlo santulli ha detto...

Su questo, come su tanti altri problemi, anche meno tragici, sembra valere una legge non scritta, ma molto "cogente" in questi ultimi anni, che ci obbliga ad avere un'opinione. Su tutto.
Io vorrei rivendicare il diritto filosofico e metodologico di sospendere il proprio giudizio, se gli elementi a disposizione non sono sufficienti.
In parole povere, il diritto di non avere opinioni su ciò che non si conosce a fondo.
Questo potrebbe far sparire molti di quei giudizi superficiali, come dice Enrico, e diciamocelo, anche infamanti, come Antonella mette in luce.
Però capisco che forse sia una posizione non accettabile dai "media", anche se, per sillogismo, potrei essere io, ed altri come me, a rifiutare dei media che si pongono tanto irrispettosamente di fronte a problemi seri e gravi. Perché la profondità di analisi, per quanto forse "indigesta" al pubblico televisivo, significa innanzitutto rispetto.

14 febbraio 2009 19.31

maria antonella galanti ha detto...

Niente è più insopportabile degli opinionisti e niente è più pericoloso del modello comportamentale che veicolano mostrandosi privi di dubbi e di incertezze. La stessa capacità di ascolto, competenza attualmente quanto mai rara, viene sempre più identificata con la mancanza di coerenza e di forza morale o con la debolezza di identità, mentre il dubbio e l’inquietudine vengono stigmatizzati come sintomi di pusillanimità. Eppure, senza dubbio e inquietudine, non ci sarebbe alcuna conoscenza né apprendimento, ma solo il piatto omologarsi gli uni agli altri nella rassicurante ripetizione del già noto.