lunedì 9 marzo 2009

"Stella" di Sylvie Verheyde: la scuola e la vita


E’ una delle più famose foto di Robert Doisneau (“L'information scolaire”, Paris, 1956). Ne viene in mente anche un’altra, molto meno nota, guardando “Stella”, il bellissimo film di Sylvie Verheyde distribuito da Nanni Moretti; è sempre di Doisneau e s’intitola “Au coin”: “all’angolo”; “nel cantuccio”, si direbbe nell’antico toscano popolare; cioè in disparte, in castigo, ai margini, nella dimensione dell’esclusione; o in quella, invece, che dà la possibilità di guardare il mondo con altri occhi.


Non è rappresentato, nelle foto come nel film, il punto di vista dell’adulto: maestro, educatore, osservatore più o meno distante; e non c’è, neanche dietro le quinte, alcuna figura esemplare di insegnante capace di coinvolgere, trasfigurare, convertire alle gioie e delizie della cultura, secondo il topos ormai collaudato di molti films (anche belli, magari...) atti a redimerci dai nostri sensi di colpa e inadeguatezza. C’è, al contrario, una suggestione indefinibile, l'allusione a qualcosa di sfuggente e impalpabile; a un tesoro prezioso con il quale alcuni adulti hanno la ventura di venire a contatto come insegnanti o genitori e che resta alla fine inattingibile alla maggior parte di loro/noi; è ciò che ci fa amare quelle foto capaci di suscitare in noi tenerezza, e ancor più ci fa apprezzare il film, che, temo, circolerà poco e male. Era stato persino vietato ai minori di 14 anni (in Italia, naturalmente).
Dal mondo colorato della banlieue parigina degli anni ’70 la bambina-adulta viene proiettata, per caso e attraverso una coetanea, in una dimensione di vita inimmaginabile fatta di letteratura e musica, ma anche di riferimenti affettivi certi, in grado di fungere da cornice ai sogni adolescenti. Mentre la coetanea, ricca e valorizzata, getta a sua volta uno sguardo stupito e affascinato su una dimensione sconosciuta che le era stata interdetta nell'intento di proteggerla: quella della crudezza del mondo.
Gli occhi di Stella (che ha un pessimo profitto scolastico, almeno all'inizio del film) e quelli di Gladys (che è la prima della classe) dipingono il mondo distante della scuola.
Quella rappresentata nel film è definita come una scuola per ricchi. Una scuola che tutto sommato, però,propone modelli del tutto sovrapponibili, nel loro senso profondo, a quelli del bar operaio di periferia gestito dai genitori di Stella, ma della quale, alla fine, Stella saprà anche cogliere le opportunità senza esserne ingannata. Come accade a Truffaut adolescente che fugge da scuola per rifugiarsi, clandestino, nel buio di un cinema fumoso di sigarette o nel ventre ovattato e caldo della metropolitana a leggere Balzac e Dumas, la salvezza scaturisce da un altrove. Anche Stella incontra Balzac, Cocteau e persino Marguerite Duras di “Un barrage contre le Pacifique”: un libro non certo diffuso, ma considerato lettura raffinata ed elitaria, che tuttavia fa scorrere lacrime e sentimenti sulle guance della lettrice-bambina.

Un film intelligente; una lezione importante, nella stagione della lenta agonia della scuola.

1 commento:

luca mori ha detto...

Questo post mi aiuta a trovare una nuova chiave di lettura per alcune iniziative che facciamo nelle scuole, quando accompagnano i bambini e gli adolescenti nella costruzione della loro città immaginaria/ideale.
E' interpretabile come un modo "per dare cornici ai loro sogni adolescenti": un modo in cui l'adulto è presente e al tempo stesso defilato, e in cui la motivazione alla ricerca e al lavoro (non sempre, ma in alcuni casi sì, davvero) "scatta" proprio a partire dalle esigenze che bambini e adolescenti scoprono iniziando il gioco. La letteratura, la musica, la filosofia, richiamati con "discrezione" e non nel contesto di una "lezione" classica, diventano sfondo e cornice di ciò che si fa... Se ne scopre la suggestione e l'importanza in questo modo (apparentemente) indiretto...