mercoledì 18 novembre 2009

Chiare, fresche et dolci acque

Chissà se Francesco Petrarca avrebbe mai pensato, scrivendo la sua canzone, ambientata nella natura del fiume Sorga, che un giorno le acque del bel paese, avrebbero corso il serio rischio di finire completamente privatizzate, dal Brennero a Lampedusa; che l’acqua da bene essenziale, circondato da un’aura di sacralità, sarebbe diventata merce. Lo avesse immaginato, forse avrebbe deciso di restare per sempre in Provenza, nell’amata Valchiusa.
Elemento vitale subito dopo l’aria, bene comune per eccellenza fin dall’antichità: oggi il governo italiano vuole approvare un decreto legge, a colpi di fiducia, che impone agli enti locali, entro pochi anni, la sua privatizzazione.

Viene da pensare a cosa potrebbe succedere, ad esempio, se l’appalto della gestione delle acque, in alcune aree, venisse affidata ad esponenti delle ecomafie…





[…] Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento. (…)
La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.
(PAOLO RUMIZ, da la Repubblica del 18.11.2009)

1 commento:

bruno sales ha detto...

Ogni aspetto dell'esistenza può diventare monetizzabile: questo non vuol dire che tutto debba essere monetizzato. La recente crisi economica ci ricorda che il mercato non tende spontaneamente all'equilibrio, ma alla concentrazione di molto nelle mani di pochi.
L'Italia continua a inseguire in ogni campo la deregulation, con la miopia di chi pensa che anche la natura sia un prodotto fra i tanti, da vendere a caro prezzo, fino all'esaurimento. Poi si passerà a un altro prodotto: ma, a quel punto, non esisteranno più né venditori, né compratori.