sabato 28 novembre 2009

I gatti, gli studenti e il clochard.


Ogni tanto mi affaccio alla finestra dello studio per qualche attimo di riposo. Per prendere le distanze rispetto al dentro guardando il mondo che è fuori. Confesso che soprattutto lo faccio per osservare i gatti della colonia felina assistita che popolano il cortile del palazzo di fronte. Gatti bellissimi, di tutti i possibili colori gatteschi, che a loro volta osservano i gruppetti di studenti; gruppetti che per tutta la mattina si formano e si disfano davanti al portone, negli intervalli o in attesa di lezioni, di colloqui e di esami, facendosi rincorrere dal tempo e beffandolo. Mentre sorseggiano una bibita o un caffé appena prelevati dalle macchinette dell’atrio gli studenti condividono racconti che vibrano di rabbia o di ironia; si sfogano, si sfidano, battibeccano o (a seconda delle stagioni) si dedicano al corteggiamento e poi, quelli più fortunati che riescono a formare una coppia amorosa, si abbracciano e sbaciucchiano timidamente.

Tra gatti e giovani lo spettacolo risulta di solito piacevole e consolante; e la cornice (ci sono gli alberi, c’è la storia perché siamo nel centro della città...) pure. Penso alla “...bella d’erbe famiglia e d’animali...” della quale, come animale bipede, anch’io faccio parte e mi rallegro tutta. Poi arriva, quasi invisibile, avvolto nei suoi cenci grigi come il colorito del volto e la peluria che lo incornicia di sotto e di sopra in un’unica soluzione barba-capelli, un clochard del quale sarebbe impossibile definire l’età. Come fa più volte, ogni mattina, muovendosi goffo nelle sue scarpe sformate, raggiunge lentamente il bidone che campeggia all’ingresso e improvvisamente si anima e velocizza i gesti, si china tuffando le braccia tutte intere nel ventre scuro dei rifiuti, le agita giù, giù fino in fondo e trae fuori scarti o avanzi di merendine, di panini, di biscotti; e lattine colorate di bibite delle quali sorseggia meticolosamente il liquido residuo, creando un involontario e improbabile cocktail di sapori e odori. Dal punto di vista scenografico siamo di fronte alla situazione rovesciata del film “La lista di Schindler”, girato per lo più in bianco e nero e nel quale solo il cappottino rosso della bambina si staglia nella varietà di grigi mortiferi che confondono le figure umane e le cornici delle loro azioni. Qui, al contrario, tutto è allegro di vita, sebbene non ci sia alcuno sfarzo esibizionistico e i giovani siano vestiti senza ostentazione di firme. Sono però colorati, come i gatti che li osservano curiosi. Mentre lui, il solo essere grigio, muto, invisibile, sembra quasi prendere luce dalle lattine sgargianti che tiene in mano e ritmicamente solleva e ripone. Anche qui, anche nel cuore della città, c’è chi vive dei nostri rifiuti. Siamo definiti dallo stridente, disumano contrasto di consumo e fame che censuriamo relegando mentalmente quest’ultima nell’altrove del terzo o del quarto mondo, in una infinita, rassicurante distanza.


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