domenica 29 novembre 2009

Sovrastrutture


Dovrei liberarmene, lo so, ma non ci riesco.

Come molti di noi continuo a trascinarmi dietro, da quando ero bambino, una pesante zavorra, formata da una serie di sovrastrutture mentali, di pregiudizi, di sentimenti che, quasi certamente, costituiscono il frutto della bieca educazione alla quale sono stato sottoposto.

Primo pregiudizio. Mi hanno insegnato che la crescita economica e culturale di un paese dipende dalla formazione dei propri giovani e che una formazione carente si traduce, a medio termine, in una dequalificazione sul piano lavorativo. Una nazione che si riempie di lavoratori e professionisti dequalificati di fatto compie una sorta di suicidio in termini sociali. Senza risorse, né la scuola né l’università possono formare i giovani. Dunque, persisto nell’erronea convinzione che non si possano continuare a tagliare risorse alla scuola e all’università

Secondo. Mi hanno insegnato che le tasse non sono necessariamente vessazioni arbitrarie imposte dallo sceriffo di Nottingham per il proprio piacere, ma rappresentano, se proporzionali alle risorse di ciascuno, il principale strumento con il quale la collettività può finanziare la propria stessa organizzazione e garantire alcuni servizi essenziali per tutti. Qualsiasi riduzione delle tasse determina la vendita ai privati dei servizi medesimi, ma poiché ogni privato è interessato al proprio profitto e non alla beneficenza, i costi per l’utente tendono ad accrescersi oltre misura (come è accaduto nella sanità statunitense). Dunque, persisto nell’erronea convinzione che le tasse vadano pagate da tutti.

Terzo. Mi hanno insegnato che i tribunali servono a garantire una forma equa di giustizia, anche se imperfetta. Chi è chiamato in giudizio non dovrebbe sottrarsi, perché così facendo fornisce una giustificazione ai comportamenti più astuti e spregiudicati, indegni di un popolo che si definisce civile. Dunque, persisto nell’erronea convinzione che chiunque sia citato in tribunale, qualunque sia la condizione sociale, la visibilità pubblica, o la carica politico-istituzionale rivestita, debba presentarsi.

Quarto. Mi hanno insegnato che le leggi dovrebbero essere promulgate a beneficio della collettività e non per favorire l’interesse di pochi: perché, al di là di elementi etici non da tutti condivisi, l’interesse di pochi è miope e invariabilmente crea squilibri profondi tra cittadino e cittadino, aprendo fratture insanabili nella società. Dunque, persisto nell’erronea convinzione che le regole debbano essere uguali per tutti.

Oltre a questi dannati pregiudizi, ne ho molti altri, di tenore analogo. Dovrei liberarmene, lo so. Ma proprio non ci riesco.

sabato 28 novembre 2009

I gatti, gli studenti e il clochard.


Ogni tanto mi affaccio alla finestra dello studio per qualche attimo di riposo. Per prendere le distanze rispetto al dentro guardando il mondo che è fuori. Confesso che soprattutto lo faccio per osservare i gatti della colonia felina assistita che popolano il cortile del palazzo di fronte. Gatti bellissimi, di tutti i possibili colori gatteschi, che a loro volta osservano i gruppetti di studenti; gruppetti che per tutta la mattina si formano e si disfano davanti al portone, negli intervalli o in attesa di lezioni, di colloqui e di esami, facendosi rincorrere dal tempo e beffandolo. Mentre sorseggiano una bibita o un caffé appena prelevati dalle macchinette dell’atrio gli studenti condividono racconti che vibrano di rabbia o di ironia; si sfogano, si sfidano, battibeccano o (a seconda delle stagioni) si dedicano al corteggiamento e poi, quelli più fortunati che riescono a formare una coppia amorosa, si abbracciano e sbaciucchiano timidamente.

Tra gatti e giovani lo spettacolo risulta di solito piacevole e consolante; e la cornice (ci sono gli alberi, c’è la storia perché siamo nel centro della città...) pure. Penso alla “...bella d’erbe famiglia e d’animali...” della quale, come animale bipede, anch’io faccio parte e mi rallegro tutta. Poi arriva, quasi invisibile, avvolto nei suoi cenci grigi come il colorito del volto e la peluria che lo incornicia di sotto e di sopra in un’unica soluzione barba-capelli, un clochard del quale sarebbe impossibile definire l’età. Come fa più volte, ogni mattina, muovendosi goffo nelle sue scarpe sformate, raggiunge lentamente il bidone che campeggia all’ingresso e improvvisamente si anima e velocizza i gesti, si china tuffando le braccia tutte intere nel ventre scuro dei rifiuti, le agita giù, giù fino in fondo e trae fuori scarti o avanzi di merendine, di panini, di biscotti; e lattine colorate di bibite delle quali sorseggia meticolosamente il liquido residuo, creando un involontario e improbabile cocktail di sapori e odori. Dal punto di vista scenografico siamo di fronte alla situazione rovesciata del film “La lista di Schindler”, girato per lo più in bianco e nero e nel quale solo il cappottino rosso della bambina si staglia nella varietà di grigi mortiferi che confondono le figure umane e le cornici delle loro azioni. Qui, al contrario, tutto è allegro di vita, sebbene non ci sia alcuno sfarzo esibizionistico e i giovani siano vestiti senza ostentazione di firme. Sono però colorati, come i gatti che li osservano curiosi. Mentre lui, il solo essere grigio, muto, invisibile, sembra quasi prendere luce dalle lattine sgargianti che tiene in mano e ritmicamente solleva e ripone. Anche qui, anche nel cuore della città, c’è chi vive dei nostri rifiuti. Siamo definiti dallo stridente, disumano contrasto di consumo e fame che censuriamo relegando mentalmente quest’ultima nell’altrove del terzo o del quarto mondo, in una infinita, rassicurante distanza.


mercoledì 25 novembre 2009

Operai golosi


Al bar sono attratta dal titolo di un articolo sul quotidiano “La nazione” (24 novembre, pp. 4 e 5). La notizia riguarda la proposta di Rotondi (un’opinione”, come dice lui) sull’abolizione della pausa pranzo e recita: “Rotondi turba i golosi”. GOLOSI???????? Mangiare a pranzo sarebbe un vezzo, una bizzarria, un vizio; da golosi, appunto. Lo si suggerisce senza affermarlo; è solo un titolo, naturalmente; poi, nell’articolo, si riportano anche le opinioni dei sindacati. Ma il titolo, in grassetto e a grandi caratteri, lo leggono tutti.
Sottotitolo: “Il ministro propone anche di chiudere la buvette a Montecitorio”. Che democrazia, la nostra! Il sacrificio richiesto agli operai viene addirittura esteso anche ai parlamentari! “Altrimenti ingrassano troppo” si dice poche righe dopo, non certo riferendosi agli operai. A metà pagina, invece, in un riquadro relativo allo spazio in rete del quotidiano medesimo, è scritto: “In pausa. Il ministro Rotondi dice di averla abolita da vent’anni. E tu, fai la pausa pranzo? Entra nel forum, scrivi il tuo post, clicca su…” Interessante anche il commento a lato che comincia con una citazione di Mao ( “La rivoluzione non è un pranzo di gala”) del tutto slegata dal contesto (ma tale da suggerire molte considerazioni implicite sulle pretese da parte degli operai di comodità borghesi, quali le pause pranzo per dare sfogo alla propria golosità…) e prosegue con la considerazione critica, rispetto alla proposta di Rotondi, che quel che forse si guadagnerebbe con l’abolizione della pausa in termini di produttività si perderebbe relativamente alla ristorazione collettiva. Tale ristorazione, infatti (e cito) : “(…) vale un giro d’affari di 6 miliardi di fatturato, vede protagoniste 1200 imprese e dà lavoro a oltre 70000 dipendenti”. Che il lavoro, soprattutto in fabbrica, sia gravoso e tanto più insostenibile senza una pausa (indipendentemente dall’impiegarla per mangiare) e che gli operai siano anche esseri umani è un piccolo insignificante particolare che sembra non venire in mente più a nessuno.

mercoledì 18 novembre 2009

Chiare, fresche et dolci acque

Chissà se Francesco Petrarca avrebbe mai pensato, scrivendo la sua canzone, ambientata nella natura del fiume Sorga, che un giorno le acque del bel paese, avrebbero corso il serio rischio di finire completamente privatizzate, dal Brennero a Lampedusa; che l’acqua da bene essenziale, circondato da un’aura di sacralità, sarebbe diventata merce. Lo avesse immaginato, forse avrebbe deciso di restare per sempre in Provenza, nell’amata Valchiusa.
Elemento vitale subito dopo l’aria, bene comune per eccellenza fin dall’antichità: oggi il governo italiano vuole approvare un decreto legge, a colpi di fiducia, che impone agli enti locali, entro pochi anni, la sua privatizzazione.

Viene da pensare a cosa potrebbe succedere, ad esempio, se l’appalto della gestione delle acque, in alcune aree, venisse affidata ad esponenti delle ecomafie…





[…] Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento. (…)
La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.
(PAOLO RUMIZ, da la Repubblica del 18.11.2009)

domenica 15 novembre 2009

Ancora in tema di poesia













Ecco il testo originale di una "perla", tratta dall'insieme dei componimenti poetici di Sandro Bondi, attuale Ministro per i beni e attività
culturali:

A Giuliano Ferrara

Antro d’amore
Rombo di luce
Parole del sottosuolo
Fiume di lava
Ancora di salvezza

Chiamare poesia questa serie di associazioni libere, simili a quelle che potrebbero venire evocate in una pessima seduta psicoanalitica, è veramente uno sforzo lessicale non indifferente: gli italiani, però, sono un popolo di poeti, Bondi è italiano, dunque Bondi è un poeta.

Il poeta, in una lettera al direttore de "Il Foglio" (Giuliano Ferrara, cioè l'antro d'amore nonché rombo di luce), proprio ieri si è scagliato contro gli artisti ricevuti dal Presidente Napolitano, in occasione della "Giornata dello Spettacolo", artisti colpevoli, a suo dire, di essere tutti schiavi della politica e dell'ideologia (comunista, naturalmente) e di comportarsi da accattoni, perché continuamente alla ricerca di fondi per le loro attività. E' a tutti noto, invece, che il vero artista è quello che vive di stenti, muore di fame, dorme sotto i ponti e che, possibilmente, si ammala di tisi.
Se questi sono i presupposti per la formazione di un vero artista, il Ministro può dormire sonni tranquilli: grazie alla continua perdita di occupazione e alle condizioni di vita sempre più scadenti cui il nostro Paese è sottoposto, è certo che molti veri artisti emergeranno in Italia.
Forse anche qualche vero poeta, del quale - a giudicare dai versi che introducono questo post - si avverte un urgente bisogno.

Chi fosse interessato a un'antologia "poetica" di Sandro Bondi, può fare riferimento al sito:
http://gamberorotto.com/miscellanea/sandro-bondi-poeta/

Il testo della lettera del Ministro al direttore de "Il Foglio" è all'indirizzo:
http://www.ilfoglio.it/soloqui/3832



domenica 8 novembre 2009

Cara banda di birbaccioni

Cara banda di birbaccioni,

me l’avete fatta anche stavolta: siete riusciti a farmi commuovere.
In fondo si sa che prima o poi gli alunni si devono separare dagli insegnanti, come del resto i figli dai genitori, e via ognuno per la sua strada. E se – considerati i prezzi delle case – non si tratta sempre di un distacco abitativo, avviene comunque un distacco psicologico; immagino ricordiate tutti la poesia Dirti di sì, che Gianni Rodari ha scritto per sua figlia ancora bambina.
Nel nostro caso – per i motivi che sapete - la separazione è avvenuta un po’ prima del previsto, ma in fondo non mi trovo all’altro capo del mondo. Quindi niente di grave, cari birbaccioni. Anzi, di fronte a tutti gli eventi tragici che si succedono ad ogni istante sul nostro pianeta, questo fatto diventa una cosa da ridere.
Certo, quei momenti magici, che solo allievi e maestri e conoscono (ma considerando che tutti siamo stati alunni, ognuno potenzialmente può ricordare simili felici circostanze), quando l’attenzione è viva e l’insegnante riesce a dare il meglio di sé, a creare la lezione che si trasforma in dialogo grazie al coinvolgimento, alla attiva partecipazione degli studenti, che fornisce un contributo fondamentale, beh, cari birbaccioni, quei momenti forse sono irripetibili. Ma consoliamoci, siamo stati fortunati ad averli vissuti, anche in una scuola così disastrata e priva persino dell’essenziale, una scuola secondaria, dove (soprattutto alle medie) all’insegnante compete sempre più una funzione di mera vigilanza. Di sicuro questi momenti resteranno sempre vivi nella mia memoria. E spero anche nella vostra, perché è più importante. Voi siete il futuro e avete bisogno di ricordi positivi per costruire qualcosa di positivo in un paese e in un mondo, che hanno tanto bisogno di giustizia, solidarietà, onestà, cultura, come una terra arida necessita di acqua limpida per divenire fertile. E per di più, venendo ad un livello personale e dunque meno importante, ricordate quanto affermava Foscolo nei Sepolcri?... Solo nella memoria dei viventi possono continuare ad esistere coloro che non sono più su questa Terra. Pensate un po’ quanto siete importanti, banda di birbaccioni! (Toccando ferro) avete nelle vostre mani, o meglio nella vostra memoria, la presunta immortalità di chi vi ha insegnato qualcosa. Siete quasi come quelle capricciose divinità dell’Olimpo che avete incontrato nella mitologia greca e nei poemi omerici.

Tornando seri, approfitto di questa occasione per salutare e ringraziare i vostri genitori, a cominciare dai rappresentanti di classe. Tutti hanno sempre dialogato cordialmente e in modo costruttivo, come purtroppo non sempre avviene in una scuola dove da qualche tempo alcuni genitori si dilettano a ricoprire il ruolo di sindacalisti dei propri figli, e senza rendersi conto di danneggiarli, difendono a spada tratta alunni svogliati, arroganti e con immense lacune.
Grazie ancora per i regali che conserverò per sempre.

Ora vi saluto: in primo luogo state bene, e poi non smettete mai di imparare, solo così tutto quello che abbiamo costruito insieme continuerà ad avere un senso.

Con affetto, il prof

lunedì 2 novembre 2009

I poeti inascoltati.



E' morta Alda Merini. Ma oggi è anche il giorno del ricordo di un'altra morte, quella di Pier Paolo Pasolini, poeta inascoltato anche lui e profetico in certe sue scomode o dolorose affermazioni, allora troppo difficili da accettare.
Il video ripropone la bella canzone che gli hanno dedicato Giovanna Marini e Francesco De Gregori.

La distruzione dell'Università a opera di tutti.

Nel gettare discredito sull’università sembrano tutti d’accordo, anche dalle opposte collocazioni dei fautori o dei detrattori di chi attualmente ci governa. Un solo esempio, tra i tanti: Repubblica, un giornale che in questo momento si colloca all'opposizione, pochi giorni fa ospitava in prima pagina, un articolo che plaudendo alla recente proposta di riforma Gelmini per l’università si rammaricava soltanto della sua lentezza applicativa.

L’università è decisamente ridotta male e per questo risultava difficile, prima di tale testo, immaginare una proposta che potesse addirittura peggiorarne la condizione. Ormai, però, in ogni ambito la realtà supera la stessa fantascienza. Si tratta, infatti, di un progetto teso a peggiorare i mali già presenti nell’Università: rendendo più gerarchizzata e autoritaria l’articolazione interna, limitando ulteriormente le possibilità per i giovani meritevoli, creando una più netta separazione tra ricerca e amministrazione (con la supremazia di quest’ultima, cioè non delle ragioni scientifiche) e, soprattutto, tagliando ancor più impietosamente i fondi la cui gestione passerebbe direttamente al Ministero per l’economia, esautorando e disarmando quello dell’Università e ricerca; non è forse analoga la condizione del settore salute, privo di un proprio ministero?

“Non ci saranno più soldi a pioggia!”, scandisce la ministra: io di piogge di soldi, però, non ne ho viste mai.

Sullo stesso numero del quotidiano viene poco più avanti riportata con grande enfasi la notizia del solito professore che contraccambiava con dei 30 e lode eventuali prestazioni sessuali di studentesse. Esistono casi così, non ne dubito; ma in ogni ambito professionale e non solo nell’Università. Perchè, allora, generalizzare come se la cosa riguardasse tutti i professori universitari maschi in quanto tali? Poche pagine dopo in un piccolo trafiletto c’è anche la notizia di un bidello che palpava e molestava le bambine della scuola elementare nella quale lavorava; non per questo si generalizza rispetto alla categoria, anche se bidelli palpatori, in passato, sono già saliti alla ribalta della cronaca. Avrà offerto alle bambine, nel suo piccolo e rispetto al loro piccolo, una merendina o i soliti cioccolatini del pedofilo secondo stereotipo, cioè l’equivalente quanto al senso e data la diversa circostanza, del 30 e lode.

Il mondo accademico presenta molti aspetti criticabili e anche il fenomeno “parentopoli" lo attraversa , soprattutto in alcuni atenei tristemente noti; come potrebbe, del resto, in territorio mafioso, non essere mafiosamente colorata anche l’Università?

E’ sbagliato, però, estendere a tutto e tutti l’accusa. Siamo in molti tra i docenti universitari, la maggior parte, probabilmente, a non essere parenti di nessuno e a lavorare con passione portando avanti in condizioni sempre più indecorose sia la ricerca che la didattica; siamo in tanti a essere stati reclutati attraverso regolari concorsi e a non aver mai usufruito di “assistenti” servizievoli e in generale di favori.

Parentopoli è un male italiano ed è riscontrabile ovunque, anche se per altri contesti (per esempio in riferimento al mondo dello spettacolo o a quello giornalistico) si parla, chissà perché, con tenera indulgenza e quasi con orgoglio, di “figli d’arte”.

Distruggere l’università significa eliminare uno dei luoghi nei quali è ancora possibile creare cultura e formare le menti al pensiero critico. Quale futuro scenario si profila all’orizzonte di un paese che mette in ginocchio e umilia la cultura in tutti i suoi aspetti, dallo spettacolo, alla scuola, all’università?


Altre riflessioni sui fenomeni di nepotismo propri di alcuni atenei e utilizzati per gettare discredito su tutta l’università nel post “Un nuovo familismo amorale” di novembre 2008.