mercoledì 14 maggio 2008

Biciclette e visioni del mondo

La bicicletta è una specie di protesi del mio corpo. Mi aiuta ad armonizzare spazi e tempi che appaiono inconciliabili e qualche volta mi serve persino per consolarmi, se sto male. Una pedalata veloce dietro l’altra e le idee si riordinano finché recupero una sorta di provvisoria e distaccata saggezza.
La più bella bici che ho avuto, rubata pochi anni fa, era leggera e tutta argentata. Mi era stata regalata in una circostanza particolare della mia vita ed era stata scelta con cura, tenendo conto della mia personalità e dei miei gusti; era anche piuttosto costosa, ma non è per questo che quando ho trovato solo la catena, miseramente spezzata a terra, mi è venuto da piangere.
Il furto di biciclette in questa piccola città è impietoso e frequente. E’ routine. Ed è agevolato dal grande senso del decoro che sembra all’apice dei pensieri e delle preoccupazioni dei suoi abitanti; o, almeno, di quelli muniti di garage, cantina, tavernetta e via dicendo.
Questo è un quartiere normale, non certo di lusso. Però è vietato mettere le bici nel sottoscala (per il decoro del palazzo). Subito fuori, d’altra parte, una scritta avverte del fatto che è vietato pure appoggiarle alla siepe che costeggia i pochi metri davanti al portone; sempre per il decoro, si suppone. E’ vietato anche legarle alla staccionata dei cortiletti e c’è scritto, questa volta, con tanto di cartelli inchiodati. Dopo aver verificato la non affidabilità dei vari lampioni e oggetti paliformi di diversa natura intorno a casa non resta che immetterle nell’ascensore e trovare loro posto sul balcone. Ecco, puntuale, l’inevitabile avviso condominiale: “E’ vietato, per il decoro del palazzo, utilizzare ascensore o scale per trasportare biciclette”. Noi siamo affittuari, dunque non legittimati a decidere in cosa consista il decoro del palazzo.
Mentre assicuro alla meglio la mia bicicletta comprata usata (decisamente meno invitante per i ladri) il parrucchiere del piano terra mi si avvicina e mi prega di non metterla in vista: le sue clienti, dato che la bici non è nuovissima, né troppo bella, potrebbero non gradire e - cito praticamente alla lettera – “il negozio ne verrebbe svalorizzato, danneggiato... molte clienti non hanno piacere di vedere una bicicletta vecchia e l’hanno proprio fatto notare...”
Con il tempo il furto di biciclette, in questa città, è cambiato nel segno, nei modi e nel simbolismo. Ora i ladri di biciclette sono organizzati nel riassemblarne i pezzi e trasformarle. Viaggiano in gruppo e su furgoni facendo “retate” nei vari quartieri con arnesi che vincono facilmente qualsiasi catena di sicurezza. Così, capita che nella stessa notte il furto si verifichi anche per gli amici, i conoscenti o i vicini della medesima zona.
Anni fa, invece, c’era un vecchio ladro che tutti conoscevano almeno di vista, chiamato appunto X (cioè il suo nome di battesimo) con l’aggiunta della specificazione “il ladro”. La mia abitazione di allora, condivisa con altre due studentesse, era vicina alla sua. Viveva in una specie di garage nel vicolo non frequentato dietro una delle strade più centrali e la domenica mattina, una volta alzata la saracinesca su una sorta di tenda svolazzante, ascoltava una vecchia radiolina a transitor abbandonato in una sdraio da mare; lo ricordo con la canottiera bianca, i calzoncini quasi ascellari, i calzini corti e le ciabattine di plastica incrociate.
Quando la tua bicicletta spariva dovevi solo descrivergliela e lui te la riportava dopo poche ore per una cifra irrisoria. Ed era proprio la tua. Però aveva simpatie e antipatie secondo un proprio codice ineffabile e a volte diceva a qualcuno che non era riuscito nell’impresa. La notte stendeva il bucato in una vicina piazza con i portici, mettendo il filo provvisorio tra una colonna e l’altra. Si spostava con un suo sgangherato piccolo Ape o con una carretta di legno abbastanza grande che una volta ci siamo fatte anche prestare per un trasloco verso una casa vicina. In molti guardavamo con una sorta di simpatia questa figura di marginale che occupava, però, proprio la parte centrale della città, quella più densa di storia e di vita.

P.S. Sono scesa tre quarti d’ora dopo aver scritto questo post. Siamo in ritardo per un concerto e ci dirigiamo verso le bici: mi hanno rubato il cestino. Salgo sopra e ci avviamo, ma per poco non finisco sotto una macchina dato che hanno tagliato i freni per liberare il cestino che vi era legato. Male alla caviglia e alla spalla nel tentativo di fermarmi senza cadere. E rabbia, tanta. La cosa in sé si rimedia, ma è la gratuità della violenza del gesto che mi ferisce.

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