sabato 10 maggio 2008

Schegge di un vuoto fatale

Mi guardo allo specchio. Vado fiero della mia immagine ma non vedo nulla. Vedo la radice di un angolo vuoto e nulla. Ogni volta mi provoca uno sbandamento, un dolore sottile che mi accerchia e mi sorprende alle spalle. Ma è già sparito perché uno come me non ha dolori.

Mi guardo ancora perché fra un po’ devo uscire. Ma non troppo perché non sono uno di quei fighetti finocchi che vanno dall’estetista ogni due giorni. Smetto di guardarmi. Mi vesto.

Vengono a insudiciare la nostra bella e ricca città. Vogliono cacciarci e prendere il nostro posto. E trovano anche Italiani del cazzo pronti a foraggiarli. Non si può andare per il sottile. Annichilire ogni ostacolo. Punizioni esemplari.

Se nel mondo non c’è più ordine ci sarà qualcuno che riporta la giustizia. La gente appoggia quello che facciamo. I nostri valori sono giusti. Lo sanno anche loro. Chiunque non sia un viscido verme lo sa. Per cui ci appoggiano.

Fra quelli che contano qualcuno ci appoggia. Non è un caso se sono impunito sebbene indagato da oltre un anno. Libero di continuare. Senza problemi. Devo. Nessuno ha i coglioni per fermarci. Sono determinato, so quello che voglio, non ho dubbi. Affermare la nostra identità.

Il mondo è una fogna, qualcuno deve ripulirlo. Il futuro è dei giovani. Noi siamo gli eletti. Abbiamo una forza bestiale e quello che dobbiamo fare non ci pesa più di tanto. Anzi a volte riusciamo a divertirci.

E’ sera. Esco di casa come spesso succede a quest’ora. È il primo maggio. Un giorno di merda. Sferro un calcio furioso su una bottiglia di birra vuota sul selciato, residuo lercio di un maledetto negro. Giorno di merda. Però non si lavora il primo maggio e non si va a scuola. È un giorno di festa.

So che stanotte accadrà qualcosa. Già molte ne sono avvenute. Non basta mai. È l’azione che schiaccia la paura del futuro. Nell’azione siamo vivi. L’azione guarisce tutto: rapida, spietata, primordiale.

Non so ancora mentre camminiamo verso la birreria che noi stiamo per compiere quello che secoli prima, si racconta, nella nostra città avvenne fra Tebaldo e Mercuzio. Sangue. Stanotte torneranno a scontrarsi.

Stanotte i nemici non saranno ad armi pari. L’esito è segnato. Perché noi siamo un branco. Perché il mio/nostro nemico non è consapevole del suo destino. Non sa di essere nemico. (Neanche io lo so, non l’ho ancora mai visto). E non avrà il tempo di immaginare una difesa.


In ricordo di Nicola Tommasoli, ucciso perché considerato diverso.

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