giovedì 11 dicembre 2008

I quattro elementi



Qualche settimana fa sono stato, per la prima volta, in Sicilia.

Ero lì per un convegno su Empedocle, quello che su tutti i manuali è ricordato come il filosofo dei quattro elementi: il "fisico pluralista" che pone alla base di tutto acqua, aria, terra e fuoco, spiegando però la genesi delle forme e i mutamenti in base all'azione dei due princìpi di Amicizia e Contesa.

Ho potuto visitare la Valle dei templi di Agrigento quando il sole prossimo al tramonto stava arrossando le poche nubi, prima bianchissime: dal parapetto che guarda al mare lungo la discesa che porta dal tempio della Concordia a quello di Eracle, ho avuto l'impressione strana e suggestiva di afferrare - a proposito di Empedocle e della sua visione - qualcosa che mi era sempre sfuggito (qualcosa che nessun libro poteva restituire).

Guardando il mare, e prima del mare i campi dissodati, il contrasto del marrone e del verde dei prati, e poi guardando all'orizzonte le nubi rese rossastre dal tramonto imminente, e sentendo tutto attorno a me per una fortunata coincidenza un vento deciso, mi sono ritrovato per qualche istante letteralmente immerso nei quattro elementi: l'acqua del Mediterraneo a perdita l'occhio, la terra, il fuoco delle nuvole trasfigurate dal sole rossastro, e l'aria in movimento attorno.

Ecco, forse è l'esempio di come i luoghi e l'esperire del corpo possano essere veicolo di un'emozione e di una comprensione anche intellettuale. Forse studiare Empedocle passeggiando nella Valle dei Templi è davvero una cosa diversa dallo studiarlo in una biblioteca.

3 commenti:

maria antonella galanti ha detto...

Un’esperienza simile allo sconfinamento spazio-temporale che ci descrivi l’ho vissuta quest’estate, a Creta. Ci trovavamo nella zona a sud-est dell’isola, che è ancora poco turistizzata (e dunque sono rare le luci e i rumori che attraversano il buio). Una notte, dopo aver condiviso qualche bicchiere di buon vino, ci siamo trovati a passeggiare su una spiaggia e c’erano alcuni lettini-sdraio rimasti aperti, molto distanziati gli uni dagli altri. Come altre due o tre persone che erano con me ne ho occupato uno e non potendo conversare con loro per la distanza, nella notte nerissima e silenziosa, le braccia incrociate sotto la testa, mi sono messa a guardare la cupola rotonda del cielo e le stelle, così vivide e luminose come non ne avevo viste mai neanche da bambina. Non c’erano più contorni distinti delle cose, ma solo il mio respiro e quello del mare. Mi sono sentita piccola e grande nello stesso tempo; un granello di sabbia nell’universo, eppure parte di esso; quasi disfatta e confusa con la natura, e protetta, insieme a tutti i viventi, dal largo mantello della notte. Ho pensato che la filosofia non poteva esser nata che così.

enrico meloni ha detto...

Sicuramente il viaggio ci predispone a cogliere novità e suggestioni, ma talvolta per cogliere sensazioni analoghe non c’è bisogno di allontanarsi troppo da casa. È possibile infatti essere sorpresi dalla quotidianità più banale, quando un’ispirazione improvvisa e non bene identificabile ti porta a guardare con occhi diversi. Qualche settimana fa mi è capitata una cosa del genere ed ho scritto dei versi (modesti, niente di eccezionale…), che pensavo di inserire nel blog una volta revisionati. Approfitto dell’occasione che mi avete offerto per inserirli nel prossimo post, riservandomi di apportare qualche modifica in seguito.

maria antonella galanti ha detto...

Guardare con occhi diversi: ho l’impressione che solo in questo modo sia possibile comprendere, non superficialmente, una qualsiasi realtà, compresa quella interna. Guardare con occhi diversi significa anche lasciarsi attraversare e possedere; da un odore che all’improvviso incrina il qui ed ora, come da un brivido sulla pelle; dal calore del mezzogiorno come dalla brezza fresca della sera; dal ricordo come dall’attimo presente. Freud sosteneva, in qualche modo, che non possiamo evocare a piacere i ricordi, ma dobbiamo solo permettere che vengano, inaspettati, a visitarci.