sabato 27 giugno 2009

Tutti ar mare


Il mare, o meglio, la vita balneare che tanto piace a noi italiani non nasconde segreti: emergono nei comportamenti ma anche nelle forme corporee pregi e difetti (fra questi ultimi: stereo a palla, racchettoni o calcio praticati in spazi non idonei, motori accesi troppo vicino alla riva; formazioni adipose, peli bianchi, sfumature di grigio, escrescenze cutanee…). Tutto si amplifica sotto al sole ad uno sguardo ravvicinato e, al contempo, tutto si confonde e diviene accettabile osservando complessivamente il movimento spiaggia. Si possono ritrovare in alcuni individui sfumature, dettagli che ci riconducono a persone con le quali, durante l’infanzia, l’adolescenza o un’altra fase della nostra vita, si è condiviso un rapporto di familiarità.
“Tutti ar mare” è lo slogan (reso popolare dalla Ferri) che ci accomuna in gran numero dalle Alpi a Lampedusa. E ci distingue dagli abitanti di altri paesi per i quali andare al mare è come una gita, una scampagnata, che si fa una volta tanto, non costantemente e ad oltranza come fanno molti di noi.
La spiaggia livella e allo stesso tempo esalta le nostre specificità nazionali. Ci si accalca nelle ore più calde perché i raggi incidono maggiormente sulla cute, che si esibisce più volentieri se assume una colorazione prossima al marrone scuro; dimostra che siamo sani, belli, agiati, invidiabili, trendy. Non importa se la pelle invecchia precocemente o se il paesaggio marino dà il meglio di sé in prossimità del tramonto.
Sembra essere un atteggiamento tipico dell’italica mentalità (naturalmente mi riferisco sempre alla maggioranza più o meno silenziosa) che si manifesta - mutatis mutandis - anche in altre dimensioni. Non importa se chi guida il paese allarghi la forbice tra ricchezza e povertà, che depauperi le strutture pubbliche, che mortifichi la cultura, o che ci renda ridicoli agli occhi increduli del mondo; conta invece l’illusione di sentirsi rassicurati da pericoli spesso solo percepiti, o che ci sia concesso, ad esempio, di avere campo libero nell’esercizio di ben radicati privilegi e intrallazzi o, magari, di ampliare l’aggressione agli ambienti naturali, che sembrerebbero esistere solo per essere asfaltati e cementificati dall’homo italicus. Il bello è che tanto malcostume per qualche straordinaria alchimia, sembra passare inosservato a chi si limita a guardare la dinamica nell’insieme e senza soffermarsi troppo sui dettagli, proprio come accade per i più innocui difetti da spiaggia.

2 commenti:

maria antonella galanti ha detto...

Non sai quanto sono in sintonia: odio le radio, le mamme che urlano ai figli di uscire dall'acqua, i giocatori di palloni, palline e simili, i ragazzi che gettano in mare le ragazze che urlano, le donne che chiacchierano in termini di "signora mia sapesse" avendo come risposta "ma non mi dica signora mia non ci credo"; e odio anche quelli/e che, pur non facendo rumori molesti, si mettono il collare elisabettiano di materiale argentato per abbronzarsi il collo dal sotto in su...
Odio prendere la tintarella, soffrire e sudare per un effimero effetto di due mesi. La mia permanenza in spiaggia, che può risultare antipatica, consiste in:
- sedermi all'ombra con i quotidiani e vari libri, sia leggeri che più densi, da alternare; sentire l'odore del mare, ascoltare il verso dei gabbiani e il rumore ritmico delle onde;
- entrare in acqua in ore diverse da quelle nelle quali tutti sono immersi e rimanerci a lungo
- uscire e stare al sole il minimo per asciugare
- rifocillarsi al bar senza esagerare
- tornare all'ombra a leggere

Trovo bellissimo stare sul mare dal crepuscolo fino a sera tarda, quando si può uscire da sotto l'ombrellone e i colori da sfacciati si fanno commmoventi, mentre le persone si allontanano e subentra un'atmosfera vagamente decadente

maria antonella galanti ha detto...

Ho ingrandito anche la foto per vederla meglio: è molto bella!