sabato 18 luglio 2009

Mi chiamo “Camméla”.





Ieri. E’ l’ora di picco del sole del primo pomeriggio e pedalo in fretta per raggiungere il tetto e l’ombra. A un tratto sono colpita da due donne, una più anziana e l’altra più giovane; alte e magre, con gli abiti tipici dell’ineleganza anglosassone aggravata dalla necessità di adattarsi alla calura insopportabile; si guardano attorno e chiedono, così mi fermo. Sono state derubate da un gruppo di ragazzini e sono disorientate e avvilite. Mi offro di accompagnarle alla stazione dei carabinieri per sporgere denuncia: hanno perso molto, era l’ultimo giorno di vacanza e avevano preso contanti e carta di credito per acquistare regali. Strada facendo la più anziana mi racconta, tutta rossa in faccia dalla delusione, che i suoi genitori erano di queste parti e che sono emigrati in Australia; che lei vive là e che ha portato la figlia a visitare i luoghi della sua origine.
Mentre vengono espletate le formalità della denuncia la piatta burocrazia di un’esperienza tante volte ripetuta si spezza all’improvviso, nonostante il caldo, l’afa, il sudore, il sonno postprandiale; gli occhi dell’uomo in divisa hanno un guizzo mentre la donna più anziana pronuncia il proprio nome: “Camméla”, cioè “Carmela”. Poi lei spiega di nuovo che la sua origine è qua, dove ha subito l’ingiuria.
Il riconoscimento di sé nell’altro: è questo il meccanismo che genera solidarietà e che invece deve essere spezzato quando si vuole colpire l’interlocutore (come succede in guerra, per esempio), procurargli dolore e persino ucciderlo. L’altro deve trasformarsi in qualcosa di estraneo a sé, in una cosa; lo stesso meccanismo psichico opera, sono convinta, nel nostro rapporto con gli animali.

Come tante altre volte mi è capitato leggo nel loro sguardo ricambiato il mio concetto di “patria”: non un suolo condiviso da calpestare, definito da recinzioni e confini, ma una comune condizione di fragilità che ci fa riconoscere come fratelli e sorelle al di là dei confini di stato.
Del resto siamo tutti, in qualche modo, migranti.

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