venerdì 24 luglio 2009

La città, la vita e la morte


E’ iniziato come un commento al precedente post di Luca, ma è diventato troppo lungo, così si è trasformato in un nuovo post, anche se ispirato dal suo...
Ogni città ha la propria zona di rimosso, il proprio ventre brulicante, segreto, scuro; ogni città ha un’anima indicibile e crudele, quasi fosse foggiata sul modello di un essere umano. Finestre come occhi sgranati, portoni come bocche spalancate; e poi pietre, panchine, lampioni, ponti, vicoli, tombini, scritte: segmenti corporei di un organismo gigante e incontrollabile; è il nostro Frankenstein, che ci rispecchia perchè, sciocchi demiurghi inconsapevoli, l’abbiamo creato a nostra immagine.
La prima volta che me ne sono resa davvero conto sono rimasta a lungo turbata. Tanti anni fa, (ne sono certa perché ancora fumavo e stavo appunto fumando una sigaretta alla finestra, nel buio di una notte insonne) ho assistito a una sorta di iniziazione all’eroina, a una prima volta, insomma a una specie di lezione su come si fa. Ho telefonato a chi di dovere, mi sono molto agitata (oltre tutto mi pareva si trattasse di una ragazzina), ma invano. Dopo tanto agitarsi siamo rimasti il silenzio del sonno e dell’indifferenza dei più e io, arrabbiata e impotente figura alla finestra, insignificante come la piccola brace della sigaretta: un puntino incandescente nell’immensa voragine della notte.
Il giorno dopo (e ancora, in quelli successivi) stentavo a riconoscere come familiare la piccola piazza che mi sembrava, invece, piena di insidie, di segreti cattivi, di tutto il male del mondo.

Quando mi trovo in una città sconosciuta e ne ho il tempo (certamente ce l’ho se si tratta di una vacanza) amo visitare i luoghi della sepoltura; insomma, i cimiteri. Trovo che non si possa davvero comprendere il modo di vivere (cioè di concepire la vita) di un gruppo se non attraverso lo specchio rovesciato delle città dei morti. Per lo stesso motivo mi piace, da tempo immemorabile, visitare vecchi cimiteri, abbandonati o meno, leggere le scritte delle lapidi, indugiare con lo sguardo sulle foto, ammirare, magari, la vitalità paradossale di una scultura o dei fiori...
Di alcuni conservo un ricordo tenero e struggente; è il caso del piccolo cimitero (non più utilizzato) di St. Marx, a Vienna, visitato subito dopo aver trascorso una mattina intera e parte del pomeriggio nel monumentale e vicino Zentralfriedhof, del quale è stato possibile vedere (nonostante la mappa-guida) appena un quarto. In quest’ultimo c’è la tomba – fasulla – di Mozart, quella ufficiale; nel primo, si dice, fu invece inumato in una fossa comune. Penso alla breve vita di Mozart passeggiando nel silenzio rotto solo dal cinguettare degli uccellini di St. Marx, mentre lo sguardo si posa sulle panchine di legno consumate dal tempo, sull'edera di diverse specie che si dirama ovunque, sulle vecchie lapidi abbandonate e sugli alberi e indulge qua e là, tra vialetti romantici, lasciando che si intensifichi la sensazione di trovarsi quasi in un rifugio d’innamorati bambini.
Per raggiungere i due cimiteri, limitrofi, bisogna allontanarsi molto dalla città e dalle sue memorie fastose di arte, cultura, musica festante e golosità barocche; bisogna allontanarsi anche dal suo Ring imponente che la custodisce e la mette in mostra, dalla facciata tutta decoro della vecchia Austria e attraversare l’immenso suburbio brulicante di povertà. Sconcertata dall'estensione di questo mondo rimosso, deputato, città intorno alla città, a smentirne pulizia, ordine e bellezza, al di là della città stessa e delle sue ombre, proprio nel piccolo cimitero abbandonato ho respirato la vita.


Entrambe le immagini si riferiscono a St. Marx.

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