venerdì 29 gennaio 2010

Sulla traccia di Holden

Dopo 91 anni di permanenza sul nostro pianeta, J. D. Salinger ci ha lasciati. Di origine polacca era nato a New York nel 1919. Partecipò al D-Day nel corso della Seconda Guerra mondiale, durante la quale conobbe Hemingway, che ne rimase entusiasta. Fu uno dei primi soldati americani ad entrare in un lager nazista, e pare che queste esperienze belliche non passarono senza lasciare segni, come testimonierebbe qualche sua pagina dedicata alla guerra ed un ricovero di alcune settimane per curare una sindrome post-traumatica. Dopo la pubblicazione di alcuni racconti, nel 1951 uscì The Catcher in the Rye (Il giovane Holden), che lo rese famoso. In seguito pubblicò altri racconti, finché alla metà degli anni '60 non decise di ritirarsi a vita privata rimanendo stabilmente a Cornish, nel New Hampshire, dove si era trasferito già dal 1953.

Ho avuto la ventura di leggere “Il giovane Holden” in un periodo difficile, e la sua freschezza, la sua originalità, l’inquietudine e la schiettezza delle sue parole mi sono stati vicine più di un amico. Non è retorico affermare che questo romanzo ha affascinato varie generazioni. L’ho proposto spesso agli alunni delle superiori che in genere hanno risposto con interesse. Ricordo che un anno ne parlai con una collega meno giovane di me, e qualche tempo dopo mi raccontò che un suo vecchio amico si era entusiasmato e commosso pensando che ancora oggi degli adolescenti potessero apprezzare quel libro che lo aveva coinvolto, emozionato, quando aveva più o meno la loro età.

Oltre al suo talento di narratore, va considerata la scelta di ritirarsi dalla ribalta e di non voler più pubblicare i suoi testi. Decisamente in controtendenza con il culto dell’apparire che dal “Grande Fratello” ai blog, coinvolge ormai ogni strato sociale del globo. Salinger dunque, senza alcuna pubblicità è riuscito fino ad oggi (e credo che la tendenza non si interromperà presto) a diffondere per circa sessanta anni le sue opere, che non vogliono saperne dei perdere popolarità. Se ne è parlato fin troppo ed il nome del protagonista del suo romanzo è stato usato e riusato, tanto da inflazionarne la freschezza originale. Forse anche questa potrebbe essere una delle ragioni che ha sospinto Salinger verso la fuga dalla notorietà.

In questi decenni di anonimato quasi perfetto, se ne sono dette molte sul suo conto, ad esempio che ha continuato a scrivere, e che i suoi libri inediti saranno pubblicati postumi; spesso però sono emersi anche risvolti della sua vita e del suo carattere poco gradevoli. Sarà il tempo forse a stabilire quanto ci sia di vero. In ogni caso, siano attendibili o meno, queste indiscrezioni non intaccano per niente, dal mio punto di vista, la qualità letteraria e i meriti esistenziali delle sue narrazioni. Il suo sgangherato personaggio anticonformista, tenero, spassoso, tormentato e pasticcione, con semplicità e spontaneità imbarazzanti tratteggia le contraddizioni di un sistema sociale impregnato di molteplici difetti insanabili, non ultimo l’ipocrisia. La storia è animata dalle difficoltà destabilizzanti che incontra per integrarsi nel mondo degli adulti, un adolescente che non ha alcuna intenzione di perdere il suo sguardo innocente sulla realtà. E Holden Caulfield fin dalle prime battute emerge dal testo in modo da sentirlo vicino, quasi anticipando sulla pagina le tre dimensioni del cinema di oggi. Ma non è solo per tutte queste ragioni che vorrei ringraziare J. D. Salinger, quanto per il gusto della lettura che, a suo tempo, mi riconsegnò una traccia di fiducia.

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