sabato 1 novembre 2008

Il dovere di ribellarsi...


… dovrebbe essere previsto da ogni società democratica come diritto costituzionale, secondo quanto scrive Moni Ovadia su "l’Unità" di oggi. Difficile non essere d’accordo con lui su questo punto e sulle affermazioni che seguono:
“Quelli che oggi lottano per difendere la scuola pubblica, sono la parte più viva, più coraggiosa e più lungimirante del nostro paese.
Contro di loro si sono mobilitati tutti i media del padrone d’Italia mettendo mano a tutto il repertorio della retorica reazionaria che va dall’insulto al disprezzo, alla demagogia, all’alluvione dei peggiori luoghi comuni, con il nuovo condimento della reiterazione sistematica del falso, per farlo apparire vero.”

Impossibile non confrontare le parole di Ovadia con alcune ‘perle’ che chiunque può trovare sul sito di Forza Italia (www.forzaitalia.it/notizie/arc_14096.htm) e che riporto alla lettera:

“I maestri modulari (tre ogni due classi) sono stati introdotti per ragioni sindacali e di welfare (ossia per dare occupazione a giovani laureati), oltre che in omaggio ad una pedagogia del doppio o triplo ‘punto di vista’ da proporre ai bambini (così che possano crescere nel dubbio…).”

“Autorità, nel senso etimologico, indica qualcuno che parla con certezza di che cosa sia il bene e il male, e su questa base richiede la disciplina.”

“Le famiglie potranno scegliere liberamente se lasciare i figli a scuola 24 o 27 o anche 40 ore alla settimana. Perché opporsi alla libertà di scelta? E’ davvero necessario che tutti siano obbligati per legge ad inviare i figli a farsi indottrinare anche di pomeriggio, anche quando le scuole sono dominate da ideologie ‘progressiste’ che nei fatti fanno progredire solo l’ignoranza?”

3 commenti:

carlo santulli ha detto...

Devo dire che spero che i miei figli possano porsi dei dubbi, o, per riprendere le parole del sito citato da Bruno, "crescere nel dubbio".
E' d'altronde impossibile svilupparsi in qualunque modo, se non ci si pone delle domande, e si fanno delle ipotesi.
La ricerca, peraltro, è basata esattamente su questo binomio problema/ipotesi. Ed è fisiologico, secondo me, che chi ha queste idee pensi (come corollario) che un ricercatore sia solo un perditempo.

luca mori ha detto...

Per dare un senso e un orientamento alla ribellione necessaria, credo che si debba prendere atto una volta per tutte anche delle gravissime lacune della nostra democrazia. Non abbiamo avuto né abbiamo strumenti (nonostante la Costituzione, che pure era lungimirante) per impedire l'occupazione ciclica delle istituzioni da parte di apparati di potere e di partito che tendono a riprodurre e a confermare se stessi, o da parte di chi rilascia affermazioni farneticanti e pericolose come quelle recentemente uscite dalla bocca di un ex presidente della Repubblica e ora senatore "a vita". Curioso notare che per demolire l'Università pubblica un argomento in voga è quello di additare i casi estremi di degenerazione e corruzione: che dire allora dei casi di degenerazione e corruzione di cui sono stati protagonisti tanti politici? Non occorre fare nomi. Ma in questo caso chi occupa le istituzioni si scaglia contro le critiche dell'anti-politica e, al limite, ricorre all'immunità. La democrazia avrebbe bisogno di strumenti cautelativi: i Greci avevano l'ostracismo. Ma noi?

carlo santulli ha detto...

L'accento posto eccessivamente sui casi di corruzione e concussione (che nessuno vuol negare che esistono, ma non sono prevalenti e comunque sono legati alla politica e non alla ricerca) riflette comunque una concezione economicistica dell'università.
Non più tardi di ieri i giornali chiamavano università "virtuose" quelle che producono più profitti: e certo il bilancio va tenuto ed i conti devono quadrare.
Tutto giusto, ma si dimentica che l'università (come gli ospedali, come la scuola) è, di fatto se non di nome, un ente senza fine di lucro, il cui scopo è offrire un servizio di una qualità la più alta possibile.
Se un ospedale od un'università devono guadagnarci, ovviamente solo alcuni possono accedervi.
E nell'inesistenza, visibile in Italia, di finanziatori privati, è inutile pensare a borse di studio o sussidi.
Una volta creato un sistema del genere, il dramma prefigurato da "La zona" diventa attuale.
Forse il nostro ostracismo sarebbe una vera meritocrazia anche in politica.