lunedì 17 novembre 2008

Vedere, non vedere


Ieri mi aggiravo in un mercatino di antiquariato di quelli che offrono oggetti accessibili anche per tasche meno fornite. Non ci vado per comprare, anche se qualche volta mi capita, soprattutto in relazione a piccoli cose: una penna, una tazzina, al massimo una lampada. Mi piace, invece, carezzare gli oggetti con lo sguardo o posarvi la mano; è come se sentissi il senso delle cose perdute e il mio sguardo carezzevole dotasse per qualche secondo di vita ciò che appartiene – cose e persone – al passato. Vecchie cartoline e foto sono quanto, di solito, mi attrae di più. E poi le macchine da scrivere, gli orologi da panciotto, i servizi di spazzole e pettini che le signore e signorine tenevano nella loro specchiera, le borsette da sera o i giocattoli di una volta. E’ un po’ come prendere confidenza con la perdita, o con la morte; e attraversarle per poi sentirsi ancora più in grado di apprezzare le cose buone del mondo e soprattutto quelle che non hanno un valore in termini di denaro: come un sole primaverile capace di sorprenderti in un autunno piovoso che è già quasi inverno.
Sempre ieri, in un secondo momento, mi è capitato di discutere di come alcune persone tendano più di altre a non voler vedere i lati negativi, o inquietanti, o struggenti di quanto le circonda. Si potrebbe quasi dire che questo è un discrimine che separa in due grandi schiere gli esseri umani; ma anche una variabile che a seconda del grado con il quale si presenta ci rende differenti gli uni dagli altri definendo le diverse personalità di ciascuno. Niente a che fare con ottimismo o pessimismo, credo; è piuttosto l’abitudine alla censura, l'accettarla e l'utilizzarla come una sorta di difesa. Così, per abitudine, si è finito negli ultimi decenni per censurare gradualmente la tristezza, il dolore e persino la morte. I bambini, ormai, crescono lontani dai luoghi che ce ne ricordano l’esistenza e non solo i cimiteri, ma persino gli ospedali sono loro interdetti. Ci si stordisce in qualche modo e li si stordisce, rendendoli fragili e dipendenti da un’idea di felicità ad ogni costo e intesa come condizione permanente; rendendoli incapaci di comprendere il nodo inestricabile che tiene insieme felicità e tristezza, vuoto e pieno, solitudine e relazionalità; perfetti, dunque, per quella fatica di Sisifo alla quale ci si sottopone: il consumo sfrenato anche di ciò di cui non avremmo bisogno, credendo, così, di colmare un vuoto che non sappiamo attraversare. Del resto è già iniziato il rito di compra-vendita che precede, snaturandola, l'imminente ricorrenza natalizia.

2 commenti:

luca mori ha detto...

La prima immagine che il racconto mi evoca è la casa in cui abitavano i miei nonni: la casa di uno di quei vecchi paesi di arenaria attaccati alle colline della Lunigiana, tra i boschi di castagno. C'erano alcune stanze buie, luoghi più che stanze, in cui si entrava soltanto con una pila, dove erano accatastate disordinatamente le cose più diverse, vecchie anche per i miei nonni... Per me resta ora uno spazio della memoria: lì, senza rendermene conto, attraverso gli oggetti percepivo una distanza nel tempo... gli oggetti mi costringevano a immaginare storie e a chiedere racconti. La fantasmagoria delle merci a rapido riciclo, del prodotto ipertecnologico destinato ad essere ipervelocemente obsoleto, altera forse questo rapporto con il racconto e con il senso del tempo?

Anonimo ha detto...

Rinnegare, ripudiare e rimuovere il dolore sono vani tentativi di difesa da un male inquietante che non si vuole conoscere, né tanto meno frequentare, ma in realtà, non siamo in grado di eludere questa inevitabile esperienza esistenziale e non possiamo nemmeno salvaguardare da essa chi amiamo.
Possiamo però scegliere come rapportarci al dolore e con quale atteggiamento viverlo. Se sappiamo affrontarlo, senza lasciare che ci dilani, che ci svuoti, allora, potremo anche scoprire che ci costringe a scandagliare i più reconditi meandri di noi stessi, ad entrare in contatto con le parti più autentiche del nostro Sè, approfondendo la nostra umanità.